#27 | Bologna | 3 settembre 2024
Cara lettrice, caro lettore,
eccoci alla prima Macina di settembre.
Mentre le giornate sono ancora lunghe, la mente torna al quotidiano: si pensa al lavoro, alla scuola, si fanno progetti mentre, di fatto, ahinoi, si ritorna a vivere in casa.
Sono tanti i libri da consigliare in questo momento dell’anno. Ne scegliamo uno appena uscito nella collana Farsi un’idea, per la sua straordinaria capacità di raccontare a diverse generazioni un fenomeno sociale e domestico. Una vecchia novità che solo ora iniziamo a comprendere: i videogiochi.
Quante volte, noi che facciamo libri, siamo portati a vedere nei nuovi media non solo dei concorrenti, ma dei fenomeni un po’ deteriori, alternativi all’«etica del lettore» (per citare Ezio Raimondi)? Lo ammettiamo: accade spesso. Ma siamo sicuri di vedere bene?
Il libro di Francesco Toniolo comincia proprio da questo dubbio, dal poco credito che «la cultura» ha sempre concesso a un gioco che chiamiamo così solo perché, erroneamente, traduciamo «game» con il significato di «play», perdendo di vista che non tutti i videogiochi hanno come scopo l’intrattenimento e che non tutti usano le leve emotive del gioco d’azzardo.
Scrive Toniolo nell’introduzione:
Il 21 dicembre 2023, il giovanissimo Willis Gibson (13 anni) ha raggiunto un importantissimo traguardo: è stato il primo giocatore al mondo a «finire» Tetris, il celebre videogioco con i blocchetti da incastrare, ideato dal russo Aleksej Leonidovic? Pazitnov e pubblicato nel 1984.
Le virgolette sono d’obbligo, perché Tetris non ha una fine in senso stretto. Il giovane Gibson ha raggiunto la «schermata di eliminazione», in cui il gioco va in crash e smette di funzionare, non essendo pensato per proseguire oltre quel punto.
Un evento storico, per il mondo dei videogiochi. Nessuno ci era mai riuscito. Gibson ha ricevuto complimenti da ogni parte del globo, tuttavia non sono mancate le persone che hanno sminuito la sua impresa. Come Jayne Secker, giornalista di «Sky News», che commentando la notizia ha invitato il tredicenne a «uscire di casa» e a «prendere un po’ di aria fresca».
Le parole della giornalista hanno suscitato, oltre a varie polemiche, anche più di una riflessione. Avrebbe detto lo stesso a un giovanissimo campione di scacchi? O di qualche altra attività sedentaria ma più «socialmente accettata»?
Invisibile al dibattito culturale, il complesso e variegato mondo dei videogame viene rappresentato da luoghi comuni per lo più incentrati su best seller il cui successo è visto come alternativo a una sana attività fisica.
L’autore fornisce diversi esempi affascinanti. Uno su tutti: che Avatar di James Cameron sia il film con il più alto incasso della storia del cinema (3 miliardi di dollari a fronte di 237 milioni di spesa) è una nozione che in qualche modo possediamo tutti; ma che dieci anni prima il videogame Grand Theft Auto V abbia superato i 6 miliardi di incassi (a fronte di 250 milioni di spesa) non è di dominio pubblico, perché questo fatto non ha mai raggiunto il rango di «notizia» presso il pubblico non specializzato.
Non esiste ancora una generica pubblica consapevolezza sull’industria del videogame, e chi si imbatte nel fatto che già oggi questo settore vale più della somma delle industrie cinematografica e musicale conosce come unica risposta istintiva il rammarico.
Accade perché trasferiamo su un intero e variegato mondo il sentimento del genitore che vede il figlio adolescente accanirsi su FIFA invece di «uscire a giocare a pallone», senza capire che anche il videogaming include diversi generi, ha diversi pubblici, e non è fatto solo di successi.
Moltissime persone conoscono solo i videogiochi mainstream di maggior successo. FIFA, Fortnite, Grand Theft Auto e Super Mario, tanto per fare qualche esempio, sono probabilmente dei nomi che avete sentito anche se non vi siete mai interessati minimamente ai videogiochi.
Pure tra coloro che giocano, il bagaglio di titoli sperimentati è spesso estremamente ristretto. Non che ci sia da stupirsi: anche il cinema e la letteratura funzionano allo stesso modo. Il romanzo di successo che vende 200.000 copie e diventa un fenomeno editoriale può raggiungere anche quelle persone che magari leggono solo un libro all’anno, mentre i lettori forti acquistano e leggono un gran numero di romanzi, andando spesso a cercare anche prodotti molto più di nicchia.
C’è, tuttavia, una differenza tra la letteratura (o il cinema) e i videogiochi. Nessuno ridurrebbe la letteratura al best seller del momento. Nessuno ridurrebbe il cinema alla commedia natalizia di grande successo. Per diverse persone, invece, il videogioco continua a essere solo legato al prodotto di grande successo del momento. Per cui l’ultima – o forse la prima – grande sfida è proprio questa: cambiare la percezione collettiva.
La ricchezza del libro di Toniolo sta nel peculiare punto di vista del suo autore: che è sia un appassionato videogiocatore sia un insegnante di cinema e audiovisivo. Ne esce una vera e propria guida cross-mediale, capace di portarci lontano dalle demonizzazioni (senza mai trascurare i rischi reali), di descrivere le caratteristiche (razionali, economiche e globali) di un’industria, ma soprattutto di inserire i videogame (progettati e fruiti) all’interno del paesaggio della cultura, di cui sono causa ed effetto, come sempre accade ai prodotti dell’ingegno.
Un altro libro che fa questo mestiere è Destinazione manga, di Mara Famularo.
Anche in questo caso l’autrice parte dall’esperienza di chi approda al manga in età adulta (sulla base di lontani ricordi di cartoni giapponesi), scopre un mondo, lo studia e lo riporta a chi ne è ancora fuori.
È questo il senso di Farsi un’idea, una collana che porta a ciascuno la contemporaneità che non frequenta, per cercare di dare a tutti i lettori la possibilità di «incominciare».
Entrambi gli autori si sono calati in questo intento: per questo i due libri si leggono bene insieme, alla ricerca dei nipponici, infiniti, contatti tra il mondo manga e la game culture.
Buona lettura (e non solo ai genitori)!
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