#30 | Bologna | 22 settembre 2024
Cara lettrice, caro lettore,
bentornato in Macina.
Esattamente un anno fa ci lasciava Giorgio Napolitano, l’undicesimo Presidente della Repubblica italiana e il primo a essere stato rieletto.
Un uomo che visse per la politica, come ha ricordato lo storico Paolo Pombeni dalle pagine della rivista il Mulino:
La scelta di chi decide di vivere "per" la politica e non "di" politica è quella di accettare una tensione continua, perché vuol pensare di contribuire allo svolgimento della storia e inevitabilmente ne diventa anche in parte vittima.
Questo avvenne nella lunga vita politica di Giorgio Napolitano, nato nel 1925 e scomparso in questo tribolato settembre 2023, essendo egli stato partecipe e protagonista di due percorsi certamente intrecciati, ma anche distinti: la militanza nel Partito comunista italiano e la storia dell’Italia repubblicana.
Ricostruire la presidenza di un riformista salito al Colle provenendo dal Partito comunista non è un’impresa facile. Il primo a tentarla è Giovanni Matteoli che per nove anni è stato nello staff di Napolitano al Quirinale e di cui abbiamo appena pubblicato le memorie.
Con inevitabile empatia ma facendo un passo indietro rispetto al proprio vissuto, Matteoli ci scorta nella conoscenza del Napolitano Presidente, in pagine scritte con la penna del giornalista navigato, che ci forniscono l’occasione di riflettere sulla natura della ragione di stato, di entrare nel funzionamento della macchina del Quirinale, ma anche di rivivere il nostro recente passato, che è divenuto Storia senza che ce ne accorgessimo.
La nascita e la caduta del secondo governo Prodi, il ritorno e la caduta di Berlusconi, la fondazione del Partito Democratico e la competizione con il Movimento Cinque Stelle, l’avvicendamento tra Letta e Renzi, le tentate riforme istituzionali: sono solo alcuni degli snodi politici che attraversano il racconto di Matteoli, «riletti» dal Colle più alto.
Come ricorda Guido Melis nell’introduzione, è da pochi anni che gli studiosi possono valersi di fonti che raccontano le istituzioni non ex cathedra, ma dal loro interno. I diari di Antonio Maccanico sulla Presidenza Pertini, ma anche la lunga intervista rilasciata ad Arrigo Levi da Carlo Azeglio Ciampi sono i precedenti su cui, come editore, abbiamo inteso proseguire, alla ricerca sia dell’uomo politico Napolitano sia dell’istituzione che lo rese «di tutti».
Che tipo di presidente è stato Giorgio Napolitano? Cosa ha contraddistinto la sua presidenza e cosa invece è stato in continuità con i predecessori?
Sicuramente non ha dato un’interpretazione notarile del suo ruolo. In modo anche deciso, a seconda dei momenti e delle vicende politiche, il Presidente ha fatto quanto riteneva necessario per consolidare una «matura democrazia dell’alternanza»; non ha mai voluto essere espressione della sola maggioranza che lo elesse; ha auspicato l’avvento di quelle riforme istituzionali delle quali il paese aveva bisogno.
Così disse nel primo discorso di giuramento dinanzi al Parlamento, e così ha portato avanti a suo modo un elemento di continuità con i nostri capi dello Stato, almeno quelli più vicini nel tempo, che hanno affrontato simili incombenti e difficili questioni. Naturalmente con il proprio approccio e con le sentite radici culturali, ma nel rispetto dei valori della Costituzione.
ROMA, 15 maggio 2006. Il Presidente Giorgio Napolitano, appena eletto, incontra il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale
Che peso ha avuto il Napolitano politico nella interpretazione della carica? E quanto di quel Napolitano è stato «abbandonato» nell’interpretarla?
La sua elezione, nel 2006, avvenne durante un processo di progressivo distacco dall’impegno politico diretto di partito: da poco era stato nominato Senatore a vita, dopo aver compiuto esperienze di vertice alla Camera e al Parlamento Europeo. Pertanto aveva acquisito un ruolo più istituzionale, divenendo una «riserva della Repubblica», per usare una nota espressione di De Gaulle.
Tuttavia in Napolitano rimase sempre un animo e un sentire «politico» in senso generale. Egli condivideva la profonda riflessione di Thomas Mann sulla nobiltà della politica: senza visione storica e un patrimonio di valori e di identità, la politica mette a rischio la sua componente ideale e spirituale. Perciò si può intendere bene quale giudizio desse su limiti e degenerazioni del sistema politico italiano.
Negli ultimi decenni, il Presidente della Repubblica, così come i referendum, sono apparsi come soluzioni costituzionali all’avvizzimento degli autori della Costituzione, cioè dei partiti. Cosa pensava Napolitano di questo fenomeno?
Non solo lo percepiva, ma ne aveva sperimentato personalmente le conseguenze. La sua rielezione nel 2013 scaturì proprio dalla inanità dei partiti e dal conseguente blocco del procedimento di elezione del suo successore. Napolitano ne dava un giudizio allarmato, e molte volte aveva indicato la necessità di un rilancio, naturalmente su basi e forme nuove, dei partiti politici come luogo primario della partecipazione dei cittadini.
Dopo la rielezione, ebbe accenti di inusitata asprezza nella denuncia degli impegni disattesi per le riforme delle istituzionali e del sistema politico. Inoltre aveva più volte esortato a un’opera attenta di selezione dei gruppi dirigenti e degli eletti, la cui debolezza complicava allora, e mi pare lo faccia anche oggi, lo scenario politico italiano.
Il libro ricorda il passaggio di Napolitano al Mulino, e tra i punti di contatto tra il presidente e il nostro gruppo lei ricorda proprio l’attenzione all’America e alla sociologia americana che è alle origini dello studio degli intellettuali che fondano il Mulino. E allora le chiedo: Napolitano e l’America. Come stanno insieme, dalla Guerra Fredda fino ai rapporti di reciproca stima con Obama?
Napolitano era davvero in cammino «oltre i vecchi confini» – cito il titolo di un suo libro degli anni settanta. Non per caso fu il primo esponente del Pci che ottenne un visto per visitare gli Usa, stringendo anche rapporti con ambienti accademici e culturali. Il processo di abbandono delle concezioni comuniste fu forse lento, ma egli ne era all’avanguardia – pur con il suo approccio calibrato e moderato – sino alla caduta del Muro di Berlino che portò a una netta cesura.
Nel nuovo scenario, seppe guardare con realismo e attenzione alle novità, a cominciare dal processo di integrazione dell’Europa, sino a quelle in corso negli Usa. Fu una evoluzione naturale sviluppare da Presidente i tradizionali legami positivi dell’Italia con i presidenti americani, specie con Barack Obama.
VARSAVIA, 27 maggio 2011. Incontro con Barack Obama durante il vertice dei presidenti degli Stati dell’Europa centrale e balcanica
E, viceversa, le chiedo: Napolitano e la Russia. Nel libro c’è una foto di Napolitano sulla tomba di Imre Nagy, cosa significò quel passaggio?
Nel 1956, il Pci aveva condiviso il sanguinoso intervento militare dell’Urss in Ungheria, contro gli insorti che reclamavano autonomia e libertà; Napolitano era intervenuto al congresso comunista, su mandato dei vertici, criticando aspramente Antonio Giolitti, suo amico, che era in netto disaccordo e anzi stava maturando la fuoriuscita dal partito.
Nel 2006 il Presidente volle dare un segnale netto: come suggello al cammino autocritico che aveva compiuto, si recò a rendere omaggio alla tomba di Imre Nagy, il capo della rivolta libertaria di Budapest. L’alto valore simbolico del gesto sottolineava da un lato la rottura piena con il passato, e dall’altro la compiuta acquisizione dei valori di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani.
BUDAPEST, settembre 2006. Deposizione di un mazzo di fiori sulla tomba di Imre Nagi
Stando all’Italia, Napolitano ha senza dubbio gestito la fine dell’ultimo governo Berlusconi, ma se vogliamo anche il tramonto di un consenso così determinante per la seconda repubblica. Che rapporti ha avuto con Berlusconi? E con il berlusconismo, inteso come fenomeno che dura tuttora?
Il Presidente non poteva che avere rapporti consoni, di rispetto e collaborazione, con chi ricopriva la carica di Presidente del Consiglio – del resto, gli stessi che si attendeva nei suoi confronti. Inoltre auspicava che il berlusconismo in Italia diventasse sempre più simile alle forze di centrodestra che animavano il bipolarismo europeo. Pertanto guardava a esso con realismo, confidando che evolvesse in una forza moderata e di governo, proficua per la democrazia italiana.
A volte però si sviluppavano tensioni e contrasti, perché Berlusconi era riluttante a rispettare le regole del gioco quando gli parevano sfavorevoli. I rapporti erano altalenanti, tra fasi più distese e momenti di una certa asprezza, sebbene non fosse possibile una rottura, e quindi si dovesse sempre recuperare una relazione doverosa.
ROMA, 8 maggio 2008. Giuramento del governo Berlusconi IV
Il libro è arricchito da un’appendice sulla vita quotidiana al Quirinale. Com’è la vita nella prima istituzione del Paese? Com’è entrarci? Com’è uscirne? Com’è attraversare la ragion di Stato?
La Presidenza della Repubblica è un’istituzione importante e complessa. Anche una scorsa all’art. 87 della Costituzione chiarisce l’ampiezza delle competenze del Presidente, e la struttura, i funzionari e il personale corrispondono a tale ruolo di rilievo. Si va dal Diplomatico agli Affari Interni, dal Legislativo al Segretariato, alle strutture gestionali, per non parlare della sicurezza e dei Corazzieri.
Inoltre il Quirinale è un museo eccezionale e un luogo simbolico del prestigio e del potere, sin dalla secolare presenza papale. Entrare in tale mondo è come imboccare un’autostrada a dieci corsie: un’esperienza impegnativa, assorbente e totalizzante, che impone grande attenzione a tenere un profilo super partes. Insomma, un’ottima cura per andare oltre le faziosità e gli oltranzismi di un malinteso spirito di partito.
Di Giorgio Napolitano anche il Mulino è stato editore.
Nei primi anni di Presidenza affidò proprio a noi la stampa di due suoi interventi, uno sul patto repubblicano che ci lega come italiani, l’altro su Altiero Spinelli e l’Europa: scritti da cui ben emerge la sua bussola costituzionale.
Ma del Presidente Napolitano conserviamo anche un ricordo più intimo: di quando, il 31 gennaio 2012, venne a farci visita in casa editrice. Un grande onore, ma soprattutto un incontro denso di ragioni culturali, che nel suo libro Giovanni Matteoli sintetizza con queste parole.
In occasione della laurea honoris causa in Relazioni internazionali e scienze internazionali e diplomatiche, che l’Università di Bologna volle conferirgli il 30 gennaio 2012, dopo le numerose e garbate insistenze di molti amici, e per primo del grande latinista, Magnifico rettore e antico sodale Ivano Dionigi, Napolitano scelse di affrontare nella sua lezione magistrale proprio il tema della crisi della politica e del sistema partitico.
Oramai era già ben visibile l’onda montante dell’antipolitica, che indeboliva la partecipazione democratica, il radicamento dei valori costituzionali e la solidità delle istituzioni repubblicane, rifiutando in blocco i partiti come strumenti democratici e la possibilità stessa di convergenze e mediazioni.
Il giorno successivo Napolitano si recò in visita all’Associazione di cultura e politica Il Mulino, con cui aveva vincoli risalenti ad anni lontani e una non piccola assonanza di interessi (ad esempio, un’attenzione alla sociologia americana che aveva influenzato anche alcune iniziative del PCI quando ne dirigeva la Sezione di Organizzazione). Inoltre non poteva che apprezzare la presenza nell’associazione e nella rivista di numerosi amici e qualificati intellettuali, dalle posizioni libere e autonome, certo non inquadrabili in qualsivoglia tifoseria: da Luigi Pedrazzi a Michele Salvati ed Elisabetta Gualmini, da Gianfranco Pasquino ad Angelo Panebianco e Arrigo Levi, da Paolo Pombeni a Ernesto Galli della Loggia, da Romano Prodi, a Enzo Cheli a Filippo Andreatta, figlio di Beniamino, colpito da grave infermità ma sempre presente all’attenzione del presidente.
Come si può ben intendere, il ritrovo fu segnato da uno spirito di amicizia e calore umano che a mio avviso andò oltre gli interventi di presentazione dei programmi dell’Associazione e della rivista.
BOLOGNA, 31 gennaio 2012. Napolitano sfoglia il primo numero della rivista il Mulino. Al tavolo con lui Luigi Pedrazzi, uno dei fondatori del Mulino, e Arrigo Levi
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