#25 | Bologna | 6 agosto 2024
Cara lettrice, caro lettore,
con questa Macina vogliamo augurarti una buona estate, piena di buoni libri.
Lo facciamo con le parole di Alessandro Vanoli che ha fatto per noi il mestiere di Vivaldi, ricostruendo nella serie Le stagioni la storia dei sentimenti che il tempo della natura suggerisce al nostro mondo interiore.
Un tema a noi caro, di recente affrontato anche da Duccio Balestracci in Attraversando l’anno. Natura, stagioni, riti.
«La storia di ogni stagione non è solo un elenco di curiosità o di strani punti di vista sul passato: è, o dovrebbe essere in primo luogo, un modo per ripensare a ciò che siamo, al rapporto profondo che ci lega alla terra e al cielo, a quel nostro essere parte di una natura che abbiamo sin troppo dimenticato».
Ad Alessandro Vanoli l’estate non piace: lo confessa solo alla fine del libro, ma lo si intuisce già dal sottotitolo, Promessa e nostalgia.
L’estate per Vanoli è figlia della speranza in un futuro che è già passato, è una dimensione della memoria: la foto di un album che si sfoglia in autunno, facilmente un rimpianto. L’estate è un rifugio fatto di ricordi, il ritorno in un mondo ideale, che sia la natura o luogo della nostra giovinezza.
«Ognuno in questo ha la sua ricetta, la sua storia: fatta di rotonde sul mare, di spiagge solitarie, o di affollati locali notturni; oppure di vette incontaminate, di pascoli o dell’ombra profumata di qualche bosco».
Ma è sempre stato così? Che cosa è stata l’estate per gli antichi? Quale era il suo senso alle origini dell’Umanità?
Attesero come ogni anno, gli occhi rivolti al grande masso oltre il cerchio di pietre. Attesero sino a che l’orizzonte si incendiò dei primi bagliori del sole nascente. Soffiò un vento leggero sui lievi pendii verdi di un’erba alta e profumata. Allora si intonarono i canti e si accesero i fuochi per i sacrifici.
In realtà non lo sappiamo cosa accadesse davvero a Stonehenge quattromila anni fa. Ma se si guarda in una particolare direzione, si nota una linea che passa per il centro del cerchio di pietre, collegandolo a una grande pietra eretta all’esterno del cerchio, la cosiddetta Heel Stone; e quella linea indica la direzione del sorgere del sole al solstizio d’estate (e di conseguenza pure la direzione del tramonto al solstizio invernale). Inutile far troppe ipotesi e supposizioni: osservatorio astronomico, tempio, o altro ancora. Non ne sappiamo abbastanza.
Ma questo legame col sole ci dice comunque una cosa importante; che tra l’altro è la stessa che ci raccontano molti altri luoghi neolitici orientati secondo il solstizio: il nuraghe Losa in Sardegna, le Petre de la Mola in Basilicata, il tempio di Amon a Karnak in Egitto, e via dicendo. Ci dice molto semplicemente che il solstizio aveva un valore particolare. E ci sarebbe da stupirsi del contrario.
Il solstizio d’estate è il giorno in cui il sole termina un ciclo sulla volta del cielo e ne comincia un altro: il giorno in cui la durata delle ore di luce è maggiore rispetto a ogni altra giornata dell’anno; e il giorno in cui il buio, poco alla volta, ricomincerà a recuperare terreno.
Il fatto che a Stonehenge come in molti di questi monumenti, il sole quel giorno sembrasse passare come tra due grandi porte di pietra, forse non era affatto casuale. Un tempo sacro insomma quello del solstizio, che ci ricorda di quella antica esigenza di entrare in sintonia con l’ordine del cosmo, che si esprimeva anche nel coordinare le attività umane con i cicli delle stagioni. Perché in quel tempo lontano l’estate fu il cielo e i moti degli astri. E il mistero di una natura che donava la vita tra le piante dorate di sole.
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