#21 | Bologna | 29 giugno 2024
Cara lettrice, caro lettore,
bentornato in Macina.
Oggi viaggiamo ai confini dell’Europa, insieme a due libri di Egidio Ivetic, pubblicati nella collana Voci.
Egidio Ivetic è uno storico modernista, i suoi studi specialistici spaziano dalla civiltà di Venezia alla storia dei Balcani.
Per noi è innanzitutto uno storico del Mediterraneo, questo sia per il successo dei suoi ultimi libri in tema (la Storia dell’Adriatico e il Grande racconto del Mediterraneo) sia per la capacità di ragionare sui confini e dei confini, che abbiamo messo a valore in questi due libri.
I confini storici e culturali esistono, sono tangibili e determinanti per le relazioni umane, ma al contempo hanno una dimensione fluida, mobile, per certi versi imprendibile. E questo perché per l’appunto vivono dentro la Storia, che è eterna rinegoziazione della realtà.
C’è, probabilmente, nella straordinaria sensibilità di confine di questo autore, anche un dato biografico. Classe 1965, Ivetic è nato Pola, oggi in Croazia, al tempo in Jugoslavia. Prima di andare a studiare a Padova, il giovane Egidio prestò il servizio di leva militare nella marina jugoslava, sulla nave scuola Galeb del maresciallo Tito.
Un ex marinaio di uno stato che non c’è più ci è parsa la miglior voce per ripassare i punti cardinali sulla mappa, il miglior studioso cui chiedere dove inizia e dove finisce questa Europa che sentiamo nostra, ma che non sappiamo mai del tutto che forma abbia.
Professore, che cosa è l’Europa? Se tutti lo sappiamo perché è così difficile definirla?
Magari fosse semplice. L’Europa vorrebbe essere un paese, ma non è altro che un conglomerato di stati, regioni, storie e fratture storiche: è complessa e complicata, con 47 paesi grandi, medi e piccolissimi, con oltre quaranta lingue e culture nazionali, oltre trecento identità regionali, diverse tradizioni confessionali – cattolica, luterana, calvinista, ortodossa – differenti tradizioni religiose (cristiana, ebraica, islamica).
Tutti questi sono aspetti imprescindibili del suo essere. La complessità, certo, si trova in tutti i continenti, ma qui essa è elaborata alla maniera europea, ossia con ripetute guerre e definizioni di confini, come non si osserva altrove nel mondo. Eppure, con tutte le differenze, chi vi abita vuole essere europeo, diventare un’unica comunità.
Dove inizia e dove finisce? Come è cambiata la definizione nei secoli?
C’è una singolare coincidenza geografica tra l’Europa di Carlomagno e l’Europa della Comunità economica del 1957. Le terre sono le stesse, più o meno, in due momenti distanti nella storia, ma entrambi fondativi. Il nucleo carolingio ha costituito la cristianità latina, un’Europa più morale che geografica. Solo nel Settecento, la Russia, che fu a lungo Moscovia, è diventata parte d’Europa. Nell’Ottocento è accaduto lo stesso con i Balcani, ossia l’Europa ottomana. La Russia e i Balcani si sono europeizzati.
L’Est è più che altro una declinazione culturale, si richiama alla tradizione di Bisanzio. Non dovrebbe essere un limite rigido, un confine dentro l’Europa della geografia, quella secolare e scientifica, che abbiamo tutti in testa e che risale al Settecento, all’Illuminismo.
Quale confine è più liquido? Forse quello a Est, anche se è un confine di terra...
Il Mediterraneo è stato per secoli un confine preciso, tra cristianità e islam. C’è una lunga storia di conflitti e convivenze, avanzate e ritirate, infine di colonialismi. All’Est, ai tempi di Dante, oltre la Polonia e l’Ungheria, c’era l’Asia dei mongoli, un’immensa compagine che comprendeva la Cina. La Russia subentra, si afferma gradualmente e con Pietro il Grande diventa Europa e a sua volta europeizza la sua Asia.
Il Novecento ha portato nuove fratture, la divisione in seno al continente. Dopo il 1989 abbiamo vissuto un’incredibile integrazione e tante speranze. L’Europa di certo arriva a Vladivostok, su un piano culturale, ma la Russia non è Occidente, non lo vuole essere. Da qui il dramma tra l’Est e l’Ovest europeo, oggi più tragico che mai.
Che cosa è il Mediterraneo per l’Europa?
Esso è sia l’origine sia l’«altro». L’Unione europea è molto mediterranea ma non ne vuole sapere del Mediterraneo. Nel 2004 si è spinta fino a Malta e a Cipro. Di fatto, tre quarti delle coste e della superficie marittima rientra tra le competenze dell’UE, ma non c’è una visione, una politica mediterranea, non c’è neanche un commissario specifico. Il mare è percepito come una frontiera, oltre la quale ci sono i problemi.
Non doveva finire così, se si considera il Processo di Barcellona del 1995 o le politiche del vicinato proposte nel 2004. Doveva esserci una circolazione regolata di persone e investimenti tra le sponde. C’è invece una drastica asimmetria economica e demografica tra UE e non UE nel bacino. E sulle sponde opposte si percepisce il Sud globale, nel senso di paesi che non guardano più all’Occidente.
Che cosa sono i Balcani e qual è il destino dei paesi che ne fanno parte?
Così come sono, i Balcani anticipano il Medio Oriente. C’è in essi l’Unione europea, con Bulgaria e Grecia, ma a parte rimangono, come un’enclave o terra di nessuno, i Balcani occidentali: Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Kosovo, Macedonia del Nord e l’Albania. Sono paesi di tradizione bizantina e ortodossa, ottomana e musulmana, con diverse combinazioni tra le parti. L’islam balcanico non è monolitico, ma oggi sta percorrendo una nuova strada.
Nei Balcani occidentali osserviamo l’ingerenza di molti fattori esterni, come in pochi altri luoghi del mondo. Sono presenti gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Turchia, i paesi del Golfo. L’opinione pubblica ne è condizionata, così come gli investimenti e le élites si sono adeguate. L’UE non riesce a definire una strategia.
I Balcani smetteranno mai di essere l’«oriente europeo»?
L’inconcludenza dell’UE ha spinto i Balcani occidentali verso altri abbracci. Questi paesi sono ormai una propaggine dell’Eurasia, un pezzo del Sud globale in seno all’UE. Le logiche sono quelle dell’adattamento agli sviluppi geopolitici in atto su scala mondiale. Del resto tutte le dinamiche del policentrismo globale qui confluiscono.
Prevale, tra chi ci vive, la disillusione e la consapevolezza di essere al confine tra Occidente e non Occidente. Il primo mondo sembra in crisi, mentre il secondo di sicuro segnerà il XXI secolo. I Balcani occidentali aspettano in riva al fiume della storia i prossimi sviluppi. Nessuno vuole più combattere, però la violenza potrebbe essere importata.
Secondo lei l’Unione europea è una costruzione politica efficiente dal punto di vista della capacità di ricomporre le fratture del continente? Dove è più fragile?
Vediamo tutti che l’UE non convince nei tempi duri dei conflitti. Le logiche tutte economiche e normative, insomma un mercato che vorrebbe essere una supernazione, le visioni che non vanno oltre l’eterno presente non bastano per reggere le prove che si profilano. Il mondo è cambiato rapidamente.
Nel Sud globale si parla di modernità alternative, si usano spunti gramsciani per elaborare nuovi paradigmi culturali che possano mettere insieme l’ostilità diffusa verso l’Occidente già colonialista e sfruttatore con prassi politiche e civili tutt’altro che democratiche e ben lontane dalla carta dell’ONU.
Che cosa fare in siffatto mondo? È una bella sfida, una sfida che sarà sempre più culturale. L’Est, cioè la Russia, si è spostato verso il Sud globale. La geografia, ovviamente, non c’entra.
Cosa significa la guerra in Ucraina per l’Europa? Cosa è la Russia per l’Unione europea?
La guerra in Ucraina è un’immensa tragedia. Non è un conflitto locale; la sua durata sta segnando l’avvio di una nuova preoccupante epoca, fatta di prevaricazioni. In questo, la guerra ha reso più compatta l’UE, nonostante si osservi un’oscillazione nella politica di ogni paese.
Con la Russia si è entrati nella seconda guerra fredda. Il fatto è che con la Russia c’è buona parte del mondo, a partire dai cosiddetti Brics. L’UE già oggi è condizionata sia dall’Est in guerra sia dal Mediterraneo, dal Medio Oriente e dal Sahel sempre più instabili e pieni di incognite. Queste dinamiche incideranno sulla situazione politica complessiva e segneranno in modo specifico ogni paese. Paradossalmente, potrebbero rafforzare l’integrazione dell’UE.
Viviamo un ritorno drammatico della frattura in seno all’Europa fra il suo Est e il suo Ovest. Ancora un decennio fa nessuno avrebbe immaginato che la polarizzazione tra la Russia, e più in generale l’Asia e l’Unione europea e gli Stati Uniti si sarebbe concretizzata lungo l’antica faglia, quasi dimenticata, che delimitava le due tradizioni storiche europee, quella latina occidentale e quella post bizantina.
Dietro la geopolitica, la storia è richiamata e usata all’occorrenza. Ma come si giunge ai confini tra Est e Ovest? Che cosa sta succedendo?
Cos’è oggi il Mediterraneo? Un’immagine, anzitutto: volti disperati, onde, barconi. Siamo testimoni di una drammatica migrazione verso le sponde d’Europa. Questo perché il Mediterraneo è diventato una soglia, un segmento della frontiera globale.
Ci sono il Nord e il Sud globale, il mondo delle economie evanzate e dei benestanti da una parte e il mondo di chi vorrebbe avere una vita dignitosa dall'altra. Il confronto e il contatto diretto tra questi due mondi non avvengono in modo diffuso, tutt’altro, accadono per lo più in due luoghi precisi: lungo la frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti e, appunto, lungo la frontiera che passa in mezzo al Mediterraneo.
Per oggi è tutto, alla prossima Macina!
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