#18 | 4 giugno 2024
Cara lettrice, caro lettore,
bentornato in Macina.
Oggi parleremo di Effimero Novecento. Il costume degli italiani, a cura di Claudio Giunta, Lorenzo Benadusi ed Elena Papadia.
Un libro che racconta un’altra storia. Un’altra Italia. Quella narrata dalle cronache di costume del Novecento, e quindi forse quella «vera».
Gli autori dei nove capitoli sono storici, italianisti e giornalisti di diversa formazione. Con il filo della loro cultura cuciono le istantanee di una vita che scorre veloce, dall’Ottocento alla grande trasformazione degli anni Sessanta del Novecento.
Ne esce un libro scritto «dall’angolo della strada, osservando la gente che passa».
Un mosaico di cronache mondane, articoli di riviste, testi pubblicitari, lettere; tenuto insieme da un discorso giornalistico che si è sempre servito dell’effimero e dell’aneddoto per descrivere la nostra identità.
Insomma, un affascinante racconto di un racconto.
Ma ascoltiamo direttamente i curatori:
Ci sono molti modi per raccontare il Novecento. È l’età degli estremi – genocidio e decolonizzazione, persecuzioni e universalizzazione dei diritti, barbarie e progresso scientifico – e della violenza pianificata – le guerre mondiali, l’olocausto, la bomba atomica.
È il secolo delle masse, delle religioni politiche, degli esperimenti totalitari, del welfare state, della democrazia. Ma esiste anche – così visibile da passare quasi inosservato – un Novecento effimero nel quale ciò che cambia è la vita delle persone nelle sue manifestazioni più quotidiane: consumi, costumi, mentalità.
Consumi, costumi e mentalità hanno sempre costituito nella nostra storia un patrimonio stabile, che si trasmetteva intatto di generazione in generazione. Ma, a partire dall’Ottocento, la sfera privata ha reagito ai cambiamenti sempre più rapidi che si sono verificati nella produzione delle merci, nella circolazione delle persone, nella comunicazione delle notizie, nella formazione delle opinioni, con il risultato che una media esistenza novecentesca è stata sottoposta a stimoli mai conosciuti prima.
Di qui l’ansia, la nevrosi, il timore di «non essere al passo coi tempi», ma di qui anche il carattere dinamico e multiforme di queste esistenze.
Effimero divismo
«M. Gabriel D’Annunzio n’est plus une celebrité; c’est une épidémie»: così nel febbraio del 1909 il «Mercure de France» commentava lo straordinario successo ottenuto in Francia dal più internazionale dei nostri scrittori.
Un successo letterario, senza dubbio, e fin qui nulla di nuovo. Ma l’ironia un po’ spazientita del commentatore nasceva in realtà dalla presa d’atto di un fenomeno nuovo, mondano e non solo culturale, che vedeva il letterato assumere i connotati di una moderna celebrità e affermarsi come centro di irradiazione di un modello altamente contagioso di comportamento e di stile.
Elena Papadia, p. 19.
Effimero sport
Esiste una modernità buona e una cattiva. La modernità buona è quella del Giro d’Italia: la corsa che attraversa i paesi, le campagne, sfiora le città e, soprattutto, una volta passata lascia le cose com’erano prima.
A partire dai primi anni del Novecento, non esiste fenomeno sportivo e di costume che più del Giro d’Italia abbia incontrato il favore degli intellettuali – Gatto, Pratolini, Ortese, Praz, Malaparte, Cancogni, Buzzati, Vergani, Mosca – non solo perché il Giro è l’epopea dei poveri (povero chi lo corre, povero chi lo guarda passare) ma anche perché consente allo scrittore-inviato di vedere e far vedere la provincia italiana, attorno alla quale concresce una mistica comunitaria, con l’approccio un po’ orientalista del cittadino che mostra ai lettori un’Italia rurale arretrata ma genuina, non ancora toccata dalla corruzione della modernità.
Claudio Giunta, pp. 148-149
Effimera sessualità
Ad alimentare la preoccupazione riguardo a una sessualità che si esprime apertamente, non più relegata in ambiti nascosti e appunto tollerati solo in virtù della loro non visibilità pubblica, contribuisce la dolce vita.
E la dolce vita è via Veneto. La strada negli anni Cinquanta si trasforma nel luogo mondano immortalato da Fellini, conosciuto ovunque per i suoi caffè all’aperto, i suoi ristoranti, i suoi night bar, popolati da stelle del cinema e paparazzi che trasmettono ai lettori dei rotocalchi l’atmosfera glamour delle notti romane, arrivando a creare degli scoop inesistenti. E infine c’è quel «sottobosco» fatto di nobili squattrinati, falsi produttori, gigolò, playboy locali e dalla nuova figura dell’accompagnatore di dive.
Lorenzo Benadusi, pp. 253-254
Per proseguire l’indagine sull’effimero non perdere i capitoli di Fabio Andreazza, Anna Baldini, Daniele Balicco, Bruno Bonomo, Andrea Minuz, Irene Piazzoni.
L’effimero oltre il Novecento
Ma l’effimero non si ferma al girar dei secoli. E un altro strumento per indagare le sue evoluzioni è la lingua: ecco quindi una nuova puntata del viaggio nell’italiano che stiamo compiendo con La vita delle parole, a cura di Giuseppe Antonelli.
È proprio Antonelli, in questo video, a raccontarci i significati e l’evoluzione della parola «amo»... e attenzione a dove metti l’accento!
Per oggi è tutto, alla prossima in Macina.
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