#16 | 26 maggio 2024Cara lettrice, caro lettore,bentornato in Macina.Qualche giorno fa abbiamo ospitato in casa editrice, nei locali della nostra Emeroteca, un dibattito su un libro difficile e fon...

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#16 | 26 maggio 2024

Cara lettrice, caro lettore,

bentornato in Macina.

Qualche giorno fa abbiamo ospitato in casa editrice, nei locali della nostra Emeroteca, un dibattito su un libro difficile e fondamentale: Essere ebrei, oggi di Sergio Della Pergola.

A conversare con l’autore c’erano lo storico Andrea Graziosi e il sociologo Asher Colombo.

Della Pergola è un demografo. Ebreo di origini italiane, vive in Israele dal 1966, dove è divenuto uno dei massimi studiosi della popolazione ebraica mondiale, e dove ha diretto l’istituto Avraham Harman di Studi ebraici contemporanei nell’Università ebraica di Gerusalemme, di cui è professore emerito. Nel 2007 aveva già pubblicato con noi Israele e Palestina: La forza dei numeri.

 


Il dibattito si è aperto sulle domande di fondo della ricerca sociale: dal problema della classificazione umana, che comporta scelte e criteri, al problema di come si studia un gruppo umano cui si appartiene, con quali processi di «distacco scientifico» e con quali limiti e vantaggi ineliminabili.

Sciolti i nodi di metodo, si è arrivati al merito, cioè all’identità ebraica: che è ovunque minoritaria (meno che in Israele), che è sia coerente che declinata nei vari contesti nazionali, che si compone di dati religiosi, etnici, culturali e anche di punti di vista, esterni e interni. Il tutto sulla retta del tempo.

Un gomitolo storico e sociologico estremamente difficile da dipanare se non si possiede un rigoroso e dichiarato metodo di ricerca, che sia fondato su dati raccolti senza una ipotesi precostituita, ma rimanendo disponibili a metterli insieme per formulare una teoria.

È ciò che ha fatto Della Pergola per noi, in un libro unico nel suo genere, sistematico ed empatico insieme, pensato e scritto prima dei tragici eventi del 7 ottobre 2023 e di ciò che ne è seguito, ma che a maggior ragione è importante oggi.

Per darti un’idea della ricchezza di queste pagine e della prospettiva dell’autore, puoi leggere l’intervista che ci ha rilasciato. Fermo restando che nessun contenuto, nessuna recensione e nessun riassunto potrà mai sostituire la lettura di questo testo.
 

1) Professore, il suo libro è una lezione sugli ebrei, ma anche una lezione di metodo, sul come si fa ricerca sociale, su come si danno le definizioni. Ci insegna che censire le identità collettive non è facile. Può riepilogare in poche parole quali sono i suoi criteri, la sua posizione che nel libro chiama «consolidazionista»?

L’ebraismo è un insieme complesso di credenze, di comportamenti e di relazioni sociali, estremamente difficile da ridurre entro categorie semplici e soprattutto accettate da tutti.

Di fronte alla complessità dei fenomeni, esistono evidentemente vie alternative per definirli, comprenderli, affrontarli e se del caso, risolverli. In particolare va affrontata la tensione e possibile contraddizione fra osservazioni dall’interno, da parte di persone coinvolte personalmente, e dall’esterno, da parte di osservatori più o meno benevoli o anche decisamente ostili.

Nel discorso pubblico il campo di osservazione viene generalmente definito sulla base di posizioni normative che stabiliscono che cosa gli ebrei dovrebbero o vorrebbero essere. La prospettiva delle scienze sociali, dalla demografia alla sociologia alla psicologia sociale, impone invece una visione più distaccata – necessaria anche se non facile da applicare da parte di chi, personalmente, appartenga al gruppo studiato.

Il concetto «consolidazionista» ci aiuta a definire gli ebrei per quello che realmente sono. La popolazione ebraica viene studiata come fenomeno reale (e non meramente ideale), misurabile (in contrasto con chi ritiene che la cosa non sia possibile) e fluido (a differenza di chi pensa che sia fisso e immutabile).


2) Cosa pensa delle contemporanee correnti di pensiero che ritengono impossibile, e forse anche non legittimo o comunque non auspicabile sul piano politico e della convivenza, quantificare e studiare le identità collettive?

Credo sia una posizione nel caso migliore ingenua e nel caso peggiore inquietante. Le identità collettive sono un fatto non solamente esistente, ma per molti versi in fase di accentuazione e perfino di radicalizzazione. Lo dimostrano i molti conflitti contemporanei irrisolti e basati su differenze religiose, etniche, linguistiche o culturali.

La ricerca non stabilisce gerarchie di valore fra i diversi gruppi, ma di ciascuno cerca di comprendere gli aspetti cognitivi, esistenziali e affettivi. La diversità idealmente dovrebbe tradursi in pluralismo culturale e in reciproca tolleranza. Se questo non avviene, ciò non toglie che le diversità percepite e prescelte siano un fatto reale di straordinaria potenza.

La negazione delle differenze identitarie, e la loro supposta confluenza in una matrice definita come universalista rischia di divenire un progetto di imposizione della cultura egemone di un certo luogo o di un certo momento rispetto a tutte le altre.
 


3) Stando al suo metodo di identificazione, chi è ebreo? Quanti sono gli ebrei nel mondo oggi? E come sono distribuiti?

Il metodo adottato è esplicitamente operativo e non normativo. È basato su dati empirici provenienti da censimenti, sondaggi di opinione, cifre sulle migrazioni internazionali e sulla demografia della famiglia. Gran parte di queste fonti riflettono la volontà delle persone di far parte del gruppo e quindi di autodefinirsi come parte di esso.

Non è possibile imporre l’identità ebraica a chi rifiuta di definirsi come tale. Simmetricamente, una persona che si autodefinisce come appartenente al gruppo ma non possiede tutte le caratteristiche previste dai canoni normativi, non può essere esclusa a priori da una ricerca scientifica, anche se potrà esserlo da parte delle persone e delle istituzioni che guidano la comunità. Poi si analizzeranno le dinamiche peculiari del gruppo, le sue stratificazioni, e anche le sue tensioni interne.

Oggi secondo una definizione nucleo, gli ebrei nel mondo sono 15,8 milioni, dei quali 7,3 milioni in Israele e 8,5 milioni nella Diaspora – e di questi, 6,3 milioni negli Stati Uniti. Ma secondo la Legge del Ritorno allargata ai figli e ai nipoti, gli aventi diritto a immigrare in Israele sarebbero 10 milioni di più.


4) Il capitolo 3 è dedicato all’«essenza» dell’ebraismo. È possibile per gli ebrei distinguere il dato etnico da quello religioso? È corretto dire che è più difficile farlo che per altri gruppi umani?

Alle origini l’ebraismo nasce come un grappolo in cui non è possibile distinguere la religione dall’etnia e dalla discendenza condivisa. Secondo le fonti bibliche si tratta di un impegno etico che viene offerto e assunto da una persona – Abramo – e viene trasmesso a uno dei figli – Isacco, da questo a uno dei figli – Giacobbe, e da questo alla discendenza delle dodici Tribù e del popolo di Israele.

L’ebraismo rifiuta il proselitismo, e pertanto vi è iniziale piena coincidenza fra identità normativa-culturale ed entità sociodemografica. Solamente in fasi molto successive di modernizzazione e di secolarizzazione avverrà la progressiva differenziazione fra la componente religione e la componente etnia, oltre all’inserimento di altre opzioni culturali innovatrici.

Un altro esempio mediorientale di popolo-religione è quello dei Drusi. Più complessa è la relazione fra religione islamica ed etnia araba, solo in parte convergenti. All’estremo opposto, la prospettiva del mondo cattolico dove l’ecumenismo riunisce sotto una medesima panoplia di valori ideali la massima eterogeneità di popoli.

 


5) La stessa domanda può essere rivolta all’antisemitismo. È corretto dire che nell’Europa cristiana nasce sul piano teologico, e che l’antisemitismo originale è quindi molto diverso dall’antisemitismo razziale novecentesco, disegnato dal nazismo? In che relazione stanno i due antisemitismi?

Io appartengo alla scuola di pensiero che rifiuta le contorte sfumature fra antigiudaismo e antisemitismo. All’ebreo importa davvero poco se la sua retrocessione dipende dall’uno o dall’altro. In entrambi i casi, anche se con motivazioni un poco diverse, esiste un vento contrario agli ebrei e limitatore delle loro libertà, e sovente del loro diritto a esistere.

Io credo sia possibile sviluppare una teoria unificante di tutte le dottrine che si sono manifestate contro gli ebrei nei tempi lunghi della storia. I temi dell’ostilità sono estremamente coerenti se osserviamo l’antichità pre-cristiana e il periodo contemporaneo. Questo significa che l’ostilità anti-ebraica viene concettualizzata e si manifesta ben prima dell’apparizione del Cristianesimo.

Tuttavia ogni svolta storica, ogni mutazione assiale nel corso dell’evoluzione della società umana apporta con sè nuove idee e nuovi contributi all’anti-ebraismo. Tutti questi apporti si consolidano e si accumulano nel corso del tempo senza mai scomparire. Pertanto il bagaglio dell’anti-ebraismo è oggi molto più ricco e variegato di quanto non fosse alle origini.

Alla radice di tutto è il fatto che la parola ebreo (‘ivrì), fin dalla prima sua apparizione nel testo biblico significa trans, ossia «proveniente dall’altra sponda» (del fiume Eufrate), ossia straniero. Fin da Abramo, il primo uomo ebreo è definito dall’alterità.

Poi incontriamo la nozione che gli ebrei sono troppi e dunque demograficamente minacciosi (Faraone), superbi e separati (Libro di Ester), indisciplinati, rumorosi, egoisti, sleali e lobbisti (Cicerone e Tacito), poi deicídi (con lo sviluppo del Cristianesimo), di sangue impuro (con l’Inquisizione), nuovamente stranieri e inquinanti (con lo sviluppo del moderno concetto di nazione), sfruttatori capitalisti e al contempo sovversivi bolscevichi (con lo sviluppo del concetto di classe), cospiratori, di razza inferiore, non bianchi (con l’egemonia dello stato nazi-fascista), bianchi e colonialisti (con la diffusione della teoria post-colonialista contemporanea), riluttanti ad assimilarsi (secondo l’illuminata visione liberale), fino all’ultima mutazione di diffusori dell’epidemia di Covid, inventori dell’antidoto, e arricchiti nella sua commercializzazione.

Oggi la tripla dialettica negazionista contro l’ebreo in quanto persona, contro la sua memoria della Shoah, e contro la legittimità della sua aspirazione a una sovranità politica statale genera una sindrome che non è più possibile scindere nelle sue diverse componenti.


6) Quanto può pesare la persecuzione nella definizione di una identità? Andrea Graziosi ha spiegato in diverse occasioni che l’essere ucraini ha molto a che fare con l’esistere nonostante i russi, almeno dai tempi dell’Hodolomor. Quanto incide la storia di persecuzione nella definizione dell’identità di un ebreo? O pesa più nella percezione esterna?

Certamente per i più anziani la persecuzione fu un’esperienza traumatica, anche se da molti soppressa a lungo, e l’incidenza è esplicita. Ma in modi sottili e anche latenti, essa si manifesta anche tra i più giovani.

La memoria della Shoah è il marcatore più condiviso dell’identità ebraica contemporanea in tutti i paesi del mondo, molto di più rispetto alla pratica religiosa o all’appoggio a Israele. Ma Israele e la Shoah sono legati da un legame di tipo istintivo, un riflesso condizionato per cui chi tocca l’uno mette in azione l’altro.

 


7) Qual è l’odierna relazione tra l’ebraismo e lo Stato di Israele? Essere ebrei oggi in che relazione sta con la critica alle scelte politiche di questo paese?

Si tratta di due componenti identitarie ampiamente sovrapposte ma comunque indipendenti. In questo momento la critica alla politica del governo in carica è predominante in Israele, ed è non solamente legittima, ma doverosa, in una società civile. Tuttavia, l’applicazione di due pesi e due misure nell’analisi politica e mediatica nei confronti di Israele rispetto ad altre scabrose situazioni geopolitiche ben note, in particolare interne al mondo islamico, suscitano diffusa indignazione nelle comunità ebraiche in Israele e nel mondo.

C’è intolleranza di fronte ai diversi metri di giudizio nei confronti delle vittime dei rispettivi conflitti, al dispiego di bandiere palestinesi a spese di quelle nazionali locali negli spazi urbani europei, o alle provocatorie equiparazioni della Corte Penale Internazionale fra governo israeliano e Hamas. Queste analisi e manifestazioni slittano quasi inevitabilmente dal contenzioso Palestina-Israele verso una più diffusa ostilità nei confronti degli ebrei e del mondo ebraico. Ma l’indignazione raggiunge i massimi livelli di fronte alla distorsione delle vicende militari, e soprattutto alla non metabolizzazione delle depravazioni da Sodoma e Gomorra del massacro del 7 ottobre 2023.


8) Come immagina l’ebraismo o gli ebraismi del futuro?

La sfida principale per il futuro del mondo ebraico consisterà nella capacità di mantenere l’inerente diversità interna entro limiti che consentano la preservazione di un sufficiente ammontare di coesione e mutua solidarietà. Israele e Diaspora devono trovare nuovi modi di collaborazione per confrontarsi sui problemi strategici di sopravvivenza che sono condivisi.


Per oggi è tutto, nella prossima in Macina parleremo di elezioni europee.

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