Care lettrici, cari lettori,
è un momento terribile per Israele, la Palestina, il Medio Oriente, e quindi per il mondo. In queste settimane così difficili ci siamo stretti attorno al libro Le pietre di Gerusalemme di Fosco Maraini, pubblicato un anno fa a partire da un manoscritto a lungo dimenticato.
Fosco Maraini (1912-2004) era nato a Firenze da uno scultore italiano e una scrittrice, Yoï Crosse, polacca di lingua inglese. La sua passione per l’Oriente fu bruciante e precoce, tanto che a ventidue anni si imbarcò sull’Amerigo Vespucci in direzione Anatolia, con il pretesto di insegnare inglese ai marinai italiani. L’8 settembre 1943 lo troviamo in Giappone, a Tokyo, dove rifiuta di aderire alla Repubblica di Salò, venendo imprigionato. Dopo la guerra insegnerà lingua e letteratura giapponese all’Università di Firenze.
Qualsiasi biografia di un autore come Maraini risulta riduttiva. Antropologo, alpinista, fotografo, scrittore e poeta, a Gerusalemme non è di casa: ci arriva solamente nel 1967, a pochi mesi dalla fine della Guerra dei sei giorni che ha disegnato i confini su cui ancora oggi si sparge sangue. La città che lo accoglie è misteriosa e difficile, non ha niente a che fare con i suoi studi e il suo specialismo, ed è durante quel viaggio che inizierà a scrivere i testi poi raccolti nel libro:
«Gerusalemme è stata per secoli sacra a tre fedi, teoricamente parallele, in realtà spesso nemiche l’una dell’altra; questo fatto rende la città incredibilmente complessa.
Credo che si possa dire che nessun punto della terra contenga tanta varietà architettonica, teologica, rituale, linguistica, gastronomica e sartoriale in uno spazio così ristretto.
Vengono in mente le nane bianche, quelle curiose stelle di cui parlano gli astronomi, piccolissime, ma di materia così compattamente addensata che riescono a esercitare forze gravitazionali di potenza inaudita. Gerusalemme, nana bianca dello spirito».
È proprio questa estraneità a rendere l’immersione di Maraini così stupefacente: calate in uno degli epicentri dell’umanità, la sua cultura e la sua prosa sprigionano tutta la loro potenza. Pagina dopo pagina si alternano gli spazi di riflessione di un antropologo con profondo senso del divino e descrizioni concrete, naturalistiche, che investono i cinque sensi sino a far parlare le pietre:
«A Gerusalemme uomo e pietra s’incontrano, convergono l’uno nell’altra. La pietra di Gerusalemme è intrisa d’uomo, e qui l’uomo si firma nella pietra. Le pietre di Gerusalemme non sono come le altre; ciascuna ha un passato che può essere anche drammatico, terribile.
Sono pietre che, se potessero parlare, non avrebbero solo da raccontarci di cristallizzazioni ed erosioni, come quelle dei monti e dei fiumi, ma di lacrime e calore di corpi, talvolta di feste, più spesso di cose urlate in momenti terribili.
Ma Gerusalemme non è fatta solo di uomini e di pietre; c’è tutta una dimensione che sconfina nell’invisibile e che rende questa città unica tra le altre. Uomini, pietre, Dio; ecco i termini di un quadro complesso e drammatico».
Uscito unicamente negli Stati Uniti nel 1969 con il titolo Jerusalem. Rock of Ages, Le pietre di Gerusalemme è stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 2022 dalla nostra casa editrice.
La stesura originale, in italiano, è nello stile letterario caratteristico di Maraini ed è arricchita dalle note personali e da 40 fotografie scattate dall’autore durante il suo viaggio del 1967.
L'edizione è a cura di Maria Gloria Roselli con la prefazione di Franco Cardini. Non avremmo potuto dar vita a questo libro senza l’assenso e l’aiuto della moglie Mieko Namiki e delle figlie Dacia e Toni.
Definire questo libro è impossibile, si può solo leggerlo. Possiamo solo seguirne l'autore nel passato che non passa, all’interno di una città della pace attorno alla quale non riusciamo a spegnere la guerra.
Vi lasciamo con le parole di Franco Cardini, ospite di una puntata del podcast Le voci del Mulino:
La Città della pace sembra oggetto di un’eterna, insanabile, contesa: di una guerra eternamente generata da un Dio che si rinnova e si complica di continuo e alla base del quale – paradosso nel paradosso – sembra esserci un infinito amore.
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