#42 | Bologna | 3 dicembre 2024
Cara lettrice, caro lettore,
da pochi giorni il Parlamento europeo si è riunito a Strasburgo e ha approvato la nuova Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen.
Il nuovo collegio dei commissari, composto come sempre da 27 membri (uno per paese Ue), è il risultato di un lungo negoziato politico tra i partiti che a luglio avevano già votato come presidente Ursula von der Leyen (Popolari, Socialisti, Liberali, Verdi), ai quali si è poi aggiunto il Partito dei conservatori e dei riformisti, che ha ottenuto di esprimere un suo commissario (l’italiano Raffaele Fitto).
Questo enorme, continentale, compromesso democratico, frutto delle elezioni europee dello scorso giugno, ha ottenuto un totale di 370 voti favorevoli, 36 astenuti e 282 voti contrari. E ha prodotto un nuovo «governo europeo».
La domanda che sta a cuore a tutti i cittadini europei è: per fare che cosa nei prossimi cinque anni?
A questo quesito risponde l’ultimo libro di Antonio Padoa-Schioppa, Destini incrociati. Europa e crisi globali, che si chiude proprio con una lettera aperta alla nuova presidente della Commissione.
Cara Presidente, cara Ursula (se posso),
chi Le scrive è un professore di storia del diritto, ormai emerito, che per oltre quarant’anni ha posto al centro delle sue ricerche l’idea che la storia d’Europa, dal Medioevo all’età moderna e contemporanea, sia stata e sia tuttora la storia di una civiltà comune nella religione, nella politica, nell’arte, nella musica e anche nel diritto, pur nelle tante varietà locali e temporali che ne costituiscono il fascino ineguagliabile.
Nasce da questa convinzione anche questo mio ultimo libro, che tiene insieme idee che ho maturato nel corso di molti anni di studio e che ho terminato proprio nei giorni in cui il Parlamento europeo la rieleggeva Presidente della Commissione. E nasce da qui la scelta di concludere il ragionamento fatto in queste pagine indirizzando proprio a Lei, che è ormai alla guida del governo dell’Unione, una lettera aperta.
Come Lei ben sa, è molto diffusa la percezione che oggi l’Unione Europea sia giunta a un passaggio cruciale, dal quale dipenderà il suo futuro sviluppo o invece la dissoluzione del disegno ideale e politico che l’ha vista nascere e crescere da un settantennio.
La tesi che sorregge le argomentazioni del mio libro è semplice: l’Unione Europea può costituire un elemento vitale entro un ordine multilaterale del pianeta, un ordine senza il quale le crisi globali che ne minacciano il futuro non potranno venire superate: né le guerre, né il cambiamento climatico, né la decrescita della biodiversità, né le pandemie, né i rischi della comunicazione tendenziosa tramite i social network, né l’aumento delle diseguaglianze tra Stati ed entro gli Stati.
Ma un tale ruolo l’Europa potrà sperare di svolgerlo, nell’interesse dei propri cittadini e non solo di loro bensì di tutti, se (e solo se) il processo d’unione verrà proseguito e completato.
Antonio Padoa-Schioppa è un maestro di storia del diritto. Lo è per noi, che siamo orgogliosamente editori della sua monumentale Storia del diritto europeo, ma lo è soprattutto per le migliaia di studenti che ha incontrato nel corso della sua carriera.
La sensazione è che siano proprio loro i primi destinatari di questo libro di ricette per l’Europa globale che verrà. Nel dubbio, lo abbiamo chiesto direttamente a lui.
Professore, quali sono le crisi globali più gravi? Che cosa dobbiamo fare per affrontarle?
Le crisi globali più gravi sono quelle che minacciano di deteriorare, se non di spegnere, molte essenziali condizioni di vita sulla terra: sono crisi globali in quanto non solo interessano l’intero globo ma impongono misure assunte di concerto in un’ottica multilaterale tra gli Stati.
Il riscaldamento globale dovuto all’impiego tuttora crescente dei combustibili fossili; il gravissimo processo di perdita della biodiversità animale e vegetale, con conseguenze allarmanti per le specie animali e per la vita umana; la minaccia nucleare che potrebbe, anche per errore, annientare nell’arco di poche ore milioni di esseri umani e distruggere le più grandi città con i loro tesori di storia e di cultura; le pandemie; la criminalità anch’essa ormai operante al livello globale; i rischi di predominio e di falsificazione dei mezzi di informazione digitale, pilotati da minoranze politiche, economiche e finanziarie o autopromossi dall’intelligenza artificiale.
In quali relazioni dovrebbero stare Unione europea e Onu per essere efficienti?
La Nazioni unite, frutto di un breve periodo di lungimiranza delle grandi potenze al termine della seconda Guerra mondiale, costituiscono ancora oggi la sola prospettiva di un ordine globale della società umana fondato sul consenso e sulla ragione anziché sulla forza.
La Dichiarazione dei diritti del 1948 e le successive integrazioni sono condivise da ciascuno dei quasi duecento Stati del pianeta, benché nate sul terreno della cultura occidentale e interpretate in modi parzialmente difformi.
Solo dotando l’Onu dei poteri di controllo anche militare che la Carta, da tutti sottoscritta, le riconosce, sarebbe possibile realizzare l’utopia kantiana di una pace stabile, contrastando istituzionalmente e con efficacia la realtà tragica delle guerre tra Stati, una costante degli ultimi cinquemila anni di storia dell’umanità.
L’Unione europea costituisce oggi la tappa più avanzata di un ordine sovranazionale tra Stati, ma si tratta di una cattedrale ancora incompiuta e perciò a rischio. In entrambe le istituzioni, Onu e Unione europea, è indispensabile rimuovere il potere di veto che paralizza, quando ci sia il «no» anche di un solo governo, ogni possibilità di azione.
Nel libro lei sostiene che serva un esercito europeo. Perché e per fare cosa?
Una forza anche militare di difesa è necessaria per assicurare ai cittadini dell’Unione le condizioni di protezione da minacce esercitate con la forza da Stati esterni.
L’alleanza con gli Stati Uniti non basta, l’Europa deve potersi difendere anche autonomamente. Se ciò non accadrà, il rischio oggi molto reale è di perdere a breve non solo la sicurezza ma anche la nostra libertà. L’Europa non deve diventare una grande potenza, ma potrà influire nel contesto internazionale solo se si doterà di una forza di difesa autonoma, in grado anche di incentivare direttamente e indirettamente il ruolo delle Nazioni unite.
La seconda ricetta per l’Europa che lei propone è la fiscalità. Perché e per fare cosa?
Per operare sul terreno della politica e dell’economia ai fini dello sviluppo del benessere collettivo occorrono strumenti di intervento diversi, tra i quali è essenziale quello delle risorse necessarie.
Accanto all’indispensabile apporto dell’economia di mercato e del capitalismo, vi sono beni pubblici che il mercato non può soddisfare perché non suscettibili di profitti (o quantomeno di profitti a breve) senza i quali i privati non investono: scuola di qualità per tutti, non solo per i benestanti; sanità per tutti, non solo per chi ha i mezzi; strade, acque, interventi di tutela dell’ambiente, incentivi contro la deforestazione amazzonica.
Questi e altri beni pubblici sono conseguibili soltanto con le risorse ricavabili da un’imposizione fiscale improntata non solo sulla proporzionalità rispetto ai redditi e ai patrimoni, bensì anche sulla progressività in entrambi i campi. Il rapporto tra fiscalità a livello europeo e fiscalità a livello nazionale deve essere regolato in base al principio di sussidiarietà, già presente nei Trattati europei ma necessitante di una riforma che attribuisca all’Unione, a cominciare dal Parlamento europeo, anche un potere fiscale proprio.
L’ultimo capitolo del libro è una lettera aperta alla Presidente della Commissione. Perché questa scelta?
Perché la Commissione rappresenta nell’ordinamento dell’Unione il potere di governo in sinergia con i due Consigli e con il Parlamento europeo. Questo potere va completato e rafforzato se si vuole che l’Unione operi efficacemente per gli scopi e con le competenze che i Trattati le conferiscono.
La presidenza di Ursula von der Leyen ha segnato un importante passo in avanti in questa direzione. Occorre che il suo secondo mandato consolidi e porti avanti ulteriormente questo indirizzo se si vuole che l’Europa risponda alla pressanti esigenze del presente e del prossimo futuro.
Nel libro lei spende parole di apprezzamento per l’operato di Ursula von der Leyen. Secondo lei cosa ha fatto di positivo durante il primo mandato e su quali aspetti i prossimi cinque anni saranno determinanti?
Ursula von der Leyen ha avuto il grande merito di rispondere alla crisi della pandemia promuovendo un programma profondamente innovatore indirizzato non solo alla situazione contingente ma al futuro delle nuove generazioni (il Next generation EU).
E questo con nuove risorse che hanno di fatto quasi raddoppiato il bilancio dell’Unione, dall’1% al 2% del Pil europeo globale, anche attraverso il ricorso sia a prestiti rimborsabili da parte degli Stati ma garantiti dall’Unione, sia con stanziamenti a fondo perduto.
La Presidente ha assicurato la sua presenza attiva in ogni fase delle molteplici crisi in atto, a cominciare dall’aggressione della Russia all’Ucraina. Ha promosso e sostenuto un importante strumento europeo di sostegno alle nuove povertà, quale è il Sure. Il tutto naturalmente con il sostegno del Parlamento europeo e dei due Consigli.
La sua immagine sorridente e rassicurante ha per la prima volta raggiunto con efficacia i cittadini europei dei diversi Paesi dell’Unione. Il programma da lei enunciato per la riconferma è per la prima volta un vero programma di governo, davvero lungimirante e impegnativo.
Cosa significa per lei essere federalisti europei? Significa essere realisti o non farsi schiacciare dalla realtà? Come vive la sempre ricorrente accusa di idealismo?
La storia antica e moderna è ricca di utopie. Molte tra esse non si sono realizzate per diverse ragioni, o perché contrarie alla natura umana o perché contrastate da corposi interessi economici, politici e anche ideologici.
Ma altre utopie, che per il loro profondo radicamento sembravano fuori da ogni concreta possibilità di attuazione, si sono invece realizzate, talora anche nell’arco di pochi anni o decenni: basti menzionare l’ordine costituzionale fondato sulla distinzione tra i tre poteri, la proporzionalità e più tardi la progressività delle imposte, la libertà di stampa, l’istruzione universale, la sanità pubblica, il suffragio universale, la rivoluzione che ha assegnato e sta assegnando alle donne il ruolo che loro spetta, negato per millenni.
Anche il sogno della pace perpetua attraverso l’istituzione di un ordine federale, enunciato da Dante e sostenuto razionalmente da Kant potrebbe un giorno realizzarsi. L’Onu ne è un primo segmento. Il progetto dell’Unione europea, ormai in fase avanzata, è nato per garantire la pace in Europa, ma sin dall'inizio con la finalità più ambiziosa della pace mondiale.
Cosa c’è, dunque, nel futuro europeo?
L’Unione europea è una grande cattedrale, ma una cattedrale ancora incompiuta. Essa è ormai fondata, in base ai Trattati, su una Camera del popolo, una doppia Camera degli Stati, un organo di governo, una Corte di giustizia, istituzioni che operano su competenze economiche e monetarie, concorrenza, commercio internazionale e per provvedimenti sociali contro le diseguaglianze.
Ma questa struttura democratica e federale non vale (non vale ancora) per la politica estera, per la difesa comune, per la disciplina delle migrazioni, per la fiscalità, per le quali il Parlamento europeo non ha poteri e per le quali il veto anche di un solo Stato può paralizzare ogni decisione.
Con il processo di allargamento in corso tale inconveniente diverrebbe esiziale per l’Unione. La gravità delle crisi interne degli Stati, a cominciare da Francia e Germania, che riflettono in larga misura la loro impotenza, l’abbandono del multilateralismo e il rischio senza precedenti delle crisi esterne e di un ritorno di guerre tragicamente distruttive potrebbero far collassare il processo di unione, con conseguenze drammatiche per l’intera comunità internazionale.
Ma tali gravi rischi potrebbero invece, come è avvenuto in passato, portare al completamento della cattedrale dell’Unione. La speranza, ultima dea, è questa.
Per oggi è tutto. Martedì prossimo ci immergeremo in un grande racconto dei classici, con l’ultimo libro di Piero Boitani.
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