#41 | Bologna | 26 novembre 2024
Cara lettrice, caro lettore,
lo scorso 21 novembre la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Cosa sia e cosa faccia la International Criminal Court non è molto noto al grande pubblico, perché è una istituzione internazionale di recente fondazione e perché il diritto internazionale raramente sale agli onori della cronaca politica.
Due buone ragioni per parlarne con Chantal Meloni, che ha appena pubblicato Giustizia universale? Tra gli Stati e la Corte penale internazionale: bilancio di una promessa.
Meloni insegna International Criminal Law all’Università di Milano e nel 2022 ha fatto parte della Commissione per l’elaborazione di un Codice dei crimini internazionali istituita dal ministero della Giustizia.
«Mi trovo a chiudere questo libro, nato in tutte altre circostanze, in un momento drammatico, nel mezzo di due conflitti armati caratterizzati dalla commissione di atroci crimini. Gaza e l’Ucraina hanno prepotentemente riportato in primo piano il ruolo del diritto (penale) internazionale e presentato istanze di giustizia rispetto alle quali si sente l’urgenza di una risposta. La Corte penale internazionale è improvvisamente entrata nel lessico comune ed è notevole l’attenzione che, negli ultimi due anni, è stata dedicata anche dai media a una materia considerata altrimenti di nicchia».
A più di vent’anni dalla fondazione della Corte Penale Internazionale, questo libro propone un bilancio equilibrato di una istituzione ancora giovane, che in termini storici sta muovendo i primi passi. Non tralascia gli aspetti tecnico-giuridici, ma non si perde nel dettaglio: lo sfondo è il contesto internazionale e la prosa è accessibile ai non specialisti.
Professoressa, nel suo libro ricostruisce la genesi e le ragioni della Corte Penale Internazionale: come nasce? Quando? Perché?
La Cpi è un tribunale penale internazionale che nasce grazie a un trattato firmato nel 1998 proprio in Italia, a Roma: il cosiddetto «Statuto di Roma», entrato in vigore nel 2002. Il cammino per la sua istituzione è però molto lungo e parte già dalla Seconda guerra mondiale, quando fu deciso che le atrocità cui si era assistito durante la guerra non dovessero e potessero rimanere impunite. Furono allora istituiti due Tribunali per Norimberga e Tokyo e avviati i lavori per una corte penale permanente, lavori che rimasero tuttavia a lungo bloccati a causa del clima creatosi durante la Guerra fredda. È stato solo dopo la caduta del muro di Berlino che il progetto venne concretamente ripreso in mano e anche grazie alla spinta dei due tribunali ad hoc delle Nazioni Unite, per la ex-Jugoslavia e per il Ruanda, si arrivò finalmente all’adozione appunto dello Statuto di Roma.
Nel libro lei spiega che l’aspirazione a una giustizia universale poggia sulla Corte e sull’idea dell’universalità dei diritti umani, ma altrettanto sugli Stati e sulla loro capacità di recepire e agevolare il diritto penale internazionale all’interno dei propri ordinamenti.
Certo, è compito di ogni Stato non solo promuovere e difendere i diritti umani, ma anche punire le violazioni di tali diritti, che nei casi più gravi integrano veri e propri crimini internazionali. La Cpi nasce attorno a questa idea: è un’architettura complessa che si fonda sui pilastri costituiti dagli ordinamenti giuridici nazionali, oltre che sul diritto internazionale, pattizio e consuetudinario.
In questo quadro ogni Stato deve fare la sua parte, in primo luogo adottando la legislazione necessaria in materia di crimini internazionali, e in secondo luogo esercitando la propria giurisdizione penale. La Cpi è infatti solo complementare agli Stati, interviene cioè solo se le autorità giudiziarie nazionali competenti nella situazione concreta non siano in grado o non vogliano procedere.
Quali grandi paesi non hanno firmato lo Statuto? Tra questi ci sono gli Stati Uniti: che conseguenze ha questo fatto?
Sono 124 gli Stati che ad oggi fanno parte della Cpi, avendone ratificato il trattato istitutivo. Altri, come l’Ucraina, ne hanno accettato la giurisdizione, pur non avendo ancora ratificato lo Statuto.
Occorre sottolineare che tutti i paesi dell’Unione europea fanno parte della Corte e ne costituiscono un nucleo fondamentale da sempre, ossia già in fase di stesura dello Statuto (che come ogni trattato internazionale fu il frutto della negoziazione tra Stati).
A Roma, ai tempi, erano presenti delegazioni diplomatiche praticamente di ogni paese al mondo, alcune delle quali si sono molto impegnate in fase di negoziati, come ad esempio gli Stati Uniti, che tuttavia poi hanno deciso di non ratificare il trattato. Oltre a Stati Uniti e Israele, altri grandi paesi, anche in termini numerici di popolazione come la Cina, l’India, il Pakistan, la Russia, sono ancora fuori dalla Cpi, cosicché oggi circa la metà della popolazione mondiale si trova in Stati che non fanno parte della Cpi.
E tuttavia occorre considerare questo progetto in un’ottica di lungo periodo. Tutto sommato vent’anni in questo orizzonte sono tanti ma non tantissimi e anno dopo anno il numero di Stati parte è cresciuto.
Veniamo alla decisione emessa il 21 novembre. Cosa dice? Cosa implica? Che cosa è un mandato d’arresto internazionale?
Con la recente decisione citata, i giudici della Camera preliminare si sono finalmente espressi, in senso positivo, sulla richiesta di emissione di mandato di arresto che era stata avanzata dal Procuratore capo il 20 maggio scorso.
Ci sono voluti sei mesi perché il procedimento è stato molto complesso e i giudici hanno dovuto prima superare alcune obiezioni che erano state sollevate, in particolare dallo Stato di Israele in merito alla giurisdizione della Corte.
I giudici hanno quindi anzitutto dovuto chiarire che la Cpi ha giurisdizione sui cittadini israeliani ai sensi dello Statuto di Roma, in quanto, sebbene Israele non sia uno Stato parte della Corte, la giurisdizione in tali casi è fondata su un criterio di territorialità, essendo i presunti crimini stati commessi in territorio palestinese.
Ricordiamo che la Palestina è uno Stato parte della Corte dal 2015. Posto questo, e chiarito che non è necessaria l’accettazione della giurisdizione da parte di Israele, la Camera preliminare, presieduta da un giudice francese e composta da tre giudici di diverse nazionalità, ha ritenuto che vi fossero «ragionevoli motivi per ritenere integrata la commissione di gravi crimini», in termini sia di crimini di guerra che di crimini contro l’umanità, da parte del Primo ministro israeliano, dell’ex ministro della Difesa e di un membro di Hamas.
Il procuratore aveva preso in considerazione le responsabilità di due ulteriori leader, politici e militari, di Hamas, chiedendone l’arresto, che però sono stati nel frattempo uccisi. Il 21 novembre sono quindi stati emessi tre mandati di arresto.
Per quali ragioni questa decisione può dirsi «storica»?
È senza precedenti perché si tratta della prima volta che assistiamo all’emissione di un mandato di arresto della Cpi per un leader politico di un paese alleato e appoggiato dall’Occidente.
Chiaramente questo sta comportando reazioni anche molto violente da pare di alcuni governi. Non stupisce la reazione di Israele stesso, né quella degli Stati Uniti, che hanno un atteggiamento di sostanziale opposizione (salve eccezioni, come nel caso di Putin) all’operato della Corte e non ne fanno parte.
Non stupisce troppo neanche la reazione dell’Ungheria di Orban, che mi permetto tuttavia di notare si trova isolata in Europa nella sua posizione oltranzista, come dimostra il recente voto in sede di Assemblea generale dell’Onu sulla risoluzione che dichiarava (ancora una volta) le colonie in territorio palestinese illegali.
È fondamentale però che i nostri governi rimangano su posizioni di rispetto, non solo formale ma anche sostanziale, della decisione assunta dai giudici della Cpi; parlo dell’Italia ma in generale di tutti i paesi europei e non, il Canada, l’Australia, e tutti quelli che hanno voluto fortemente l’istituzione di questa corte, che è un segno di civiltà e che deve in questo momento più che mai essere sostenuta e protetta.
Cosa è plausibile accadrà ora? Quali conseguenze ci sono sul piano politico? Quali sul piano giuridico?
È davvero difficile prevedere quel che accadrà. Da un lato mi aspetto che la battaglia continuerà anche in sede giudiziaria, nel senso che immagino che il governo israeliano impugnerà la decisione dei giudici e cercherà di sostenere ancora una volta che la Cpi non ha giurisdizione sui cittadini israeliani.
La questione è già stata per ben due volte esaminata e infine rigettata dai giudici della Cpi, in due diverse composizioni, ma la procedura dà la possibilità allo Stato in questione di ripresentarla in questa fase, e credo che ciò avverrà nel breve termine. D’altro lato continuerà la battaglia anche fuori dal procedimento giudiziario, con indebite interferenze politiche e pressioni sulla Corte nel tentativo di delegittimarne l’operato.
Su questo punto, lo ribadisco, sarà necessario che i nostri governi, in particolare quelli europei, tengano la barra dritta sui principi del diritto e sulle regole che hanno loro stessi scelto e chiariscano senza ambiguità che l’esecuzione di un mandato di arresto della Cpi rappresenta un vero e proprio obbligo giuridico nei loro confronti e non una questione di discrezionalità politica, anche quando riguarda il leader di un paese alleato.
Se il tema ti interessa, ti consigliamo anche il recente intervento dell’autrice a Omnibus su La7.
Per oggi è tutto. Martedì prossimo parleremo di Europa, a partire dal nuovo libro di Antonio Padoa-Schioppa.
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