Marzio Barbagli
Congedarsi dal mondo
Il suicidio in Occidente e in Oriente
Un brano dal testo |
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Introduzione - 5. Una pluralità di cause, pagg. 16 e ss.
Due fattori cruciali, di natura assai diversa, hanno influito
sulla formazione della teoria durkheimiana: il timore che la società
dei paesi europei si disgregasse e il desiderio che la sociologia
ottenesse il pieno riconoscimento del mondo accademico. Il
primo ha portato a considerare il suicidio come un sintomo di
patologia sociale, il secondo a spiegarlo solo con (alcune) categorie
sociologiche e a ignorare il contributo delle altre scienze
umane. Si tratta di due limiti di impostazione seri, che è necessario
superare. Quello che cercherò di dimostrare nei primi tre
capitoli di questo libro, analizzando i mutamenti avvenuti negli
ultimi quattro secoli nei paesi occidentali, è che l’aumento del
numero di morti volontarie che ha avuto luogo fino all’inizio del Novecento non è dovuto soltanto, né principalmente, a processi
di disgregazione sociale. D’altra parte, è sempre più evidente che
non è possibile giungere a una spiegazione esauriente del perché
ci si toglie la vita senza tener conto dei risultati delle ricerche
condotte dagli storici e dagli antropologi, dagli psicologi e dagli
scienziati politici. Forse più ancora di altre azioni umane, il
suicidio dipende da un gran numero di cause, psicosociali, culturali,
politiche e anche biologiche e deve essere analizzato da
angolazioni assai diverse.
La teoria durkheimiana si serve solo di alcune categorie sociologiche,
quelle strutturali, mentre trascura quelle culturali.
Così, considera il suicidio egoistico come prodotto da un’unica
causa strutturale: la mancanza di integrazione. Spiega quello
anomico con l’assenza di tali norme, non con il loro contenuto.
Riconduce invece quello altruistico, oltre che a una causa principale
(l’eccesso di subordinazione) anche a una secondaria: la
presenza di norme. Ma in questo caso, vede gli individui come
esseri passivi, assolutamente dipendenti da queste norme: un’idea
oggi difficilmente accettabile.
Come ho già detto, alcune variazioni del tasso di suicidio
verificatesi nell’ultimo secolo sia nei paesi occidentali che in
quelli orientali, così come le differenze che si registrano per tale
tasso fra certi gruppi sociali, possono essere spiegate con le due
variabili durkheimiane, il grado di integrazione e quello di regolamentazione.
Tuttavia, la tesi che sosterrò in tutto questo libro
è che i fattori che maggiormente hanno influito sulla frequenza
dei diversi tipi di suicidio sono culturali, sono cioè il patrimonio
di schemi cognitivi e di sistemi di classificazione, di credenze
e di norme, di significati e di simboli dei quali dispongono gli
uomini e le donne.
Questo patrimonio varia nello spazio e nel tempo. Fra paesi e
periodi storici, oltre che fra gruppi sociali, vi sono delle differenze
nei repertori culturali che definiscono e limitano la gamma di
scelte possibili degli individui riguardo al suicidio. Gli aspetti più
rilevanti di questi repertori mi sembrano quattro: le intenzioni
di chi si toglie la vita, il modo in cui lo fa, il significato che lui
e gli altri attribuiscono al suo gesto, i riti che vengono celebrati
prima e dopo che questo è stato compiuto.
Riguardo alle intenzioni, mentre il suicidio egoistico è previsto
da tutti i repertori (pur essendo giudicato in modo assai
diverso), gli altri tre tipi (altruistico, aggressivo e arma di lotta) sono contemplati solo da alcuni di essi. Alcune culture, inoltre,
considerano certe forme di morte volontaria più nobili di altre
e le riservano (o quanto meno le considerano più adatte) a determinate
persone definite in base all’età, al genere, allo stato
civile e al ceto o alla casta a cui appartengono.
Per il modo, è bene distinguere fra i mezzi e la scena. Il
numero dei sistemi per togliersi la vita è illimitato. «Dovunque
volgi lo sguardo – diceva Seneca – vedi la fine dei mali. Vedi
quel precipizio? Da lì si scende verso la libertà. Vedi quel mare,
quel fiume, quel pozzo? Là in fondo si trova la libertà. Vedi
quell’albero stentato, inaridito, sterile? Da lì pende la libertà.
Vedi la tua gola, il tuo collo, il tuo cuore? Sono vie di fuga dalla
servitù». Ma ogni paese, ogni periodo storico e ogni gruppo
sociale ha le sue preferenze. Quanto alla scena, mentre in certe
culture il suicidio è un atto privato, compiuto in solitudine e in
segreto, in altre esso può aver luogo anche
in pubblico, alla presenza di decine o di centinaia di testimoni.
I significati attribuiti all’atto possono riguardare sia le cause
sia gli effetti. A seconda delle culture, la morte volontaria è
spiegata riconducendola a fattori sovrannaturali oppure naturali,
a un evento drammatico e allo stato d’animo di chi si è tolto la
vita oppure alle azioni di qualcun altro che lo ha spinto a farlo.
Quanto alle conseguenze, in alcuni luoghi e periodi storici il
suicidio è considerato fonte di disastri e di sventure, in altri
come un evento felice, capace di attribuire a chi lo compie poteri
straordinari, in altri ancora un fatto non troppo diverso dalla
morte naturale.
Alcune culture prevedono dei riti prima del compimento
dell’atto, che possono coinvolgere in varia misura i familiari,
i parenti e i conoscenti di chi vuol togliersi la vita e talvolta
le persone più autorevoli della comunità a cui appartiene. Più
spesso, tuttavia, i riti vengono celebrati dopo l’atto e sono molto
diversi, a seconda delle culture. In alcune, il corpo di chi si è
tolto la vita viene trattato con deliberata brutalità e sottoposto
a un processo di disumanizzazione, in altre invece è celebrato e
glorificato da centinaia o da migliaia di persone, in altre ancora
viene inumato di nascosto e in silenzio, da pochi familiari, quando
è scesa la sera.
Uno dei modi in cui la cultura può influire, in presenza di
molte altre condizioni, sulla decisione di un individuo di togliersi la vita passa attraverso le emozioni che egli sente. La tristezza,
la rabbia, la paura, la vergogna, il disgusto e la gioia sono sentimenti
universali, che tutti gli esseri umani, in ogni società e
periodo storico, hanno provato. E tuttavia la cultura condiziona
sia l’espressione che la produzione di emozioni. Riguardo alla
prima, vi sono norme sociali che indicano chi, in quali occasioni
e con chi può mostrare una emozione (ad esempio, nei concorsi
di bellezza, solo la vincitrice può piangere, mentre le perdenti
devono sorridere). Quanto alla seconda, l’influenza della cultura
può avvenire di nuovo attraverso le norme sociali che ci dicono
cosa bisogna provare o non provare in determinate situazioni.
Ma passa più spesso attraverso un meccanismo più semplice e
sottile. L’emozione nasce da un processo cognitivo e valutativo.
A suscitare in noi tristezza o gioia non è solo una situazione o un
evento, ma il significato e il valore che gli attribuiamo. Di fronte
allo stesso fatto, due persone appartenenti a culture diverse e
con scopi, interessi e desideri diversi provano emozioni diverse
(la comparsa di una vipera suscita paura nella gente comune, ma
soddisfazione e gioia fra gli erpetologi).
Anche i fattori politici hanno una grande importanza. I rapporti
di forza, le interazioni e i conflitti fra chi dà ordini e chi è
tenuto a eseguirli, il potere di azione e quello di minaccia, hanno
influito in più occasioni sulla formazione dei repertori dei modi di
vivere e di morire. Spesso, nei paesi e nei periodi storici nei quali
la vita degli uomini e delle donne apparteneva a un signore, il
suicidio è stato condannato. D’altra parte, ci si è tolti la vita non
solo per gli altri, ma anche contro di loro. Come vedremo, lo si
è fatto talvolta nei conflitti personali, per far dispetto a qualcuno,
per punirlo, per vendicarsi di lui. Ma, talvolta, questo è avvenuto
e avviene per cause collettive, contro un gruppo e a favore di
un altro, quello di cui si fa parte o con il quale ci si identifica.
Suicidi di questo tipo nascono per lo più da particolari situazioni
politiche, caratterizzate spesso da una differenza di religione fra le
due parti in lotta e sempre da una forte asimmetria nei rapporti di
forza esistenti fra loro, e vengono usati dai più deboli per cercare
di colmare lo svantaggio di cui soffrono.
[...]
I fattori esplicativi finora ricordati (culturali e politici, oltre
all’integrazione e la regolamentazione sociale) ci servono per
spiegare le differenze dei diversi tipi di suicidio fra periodi storici,
paesi e gruppi sociali, ma ben poco quelle fra gli individui
residenti nello stesso paese o appartenenti allo stesso gruppo
sociale. Molto più utili sono a questo fine i fattori psicologici e
psichiatrici, finora piuttosto trascurati dagli studiosi di scienze
sociali. [...]
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