Paolo Pezzino
Sant'Anna di Stazzema
Storia di una strage
Un brano dal testo |
|
Capitolo II. Indagine sulla strage - 2. Una strage per caso?, pagg. 66 e ss.
La prima delle spiegazioni che i sopravvissuti si dettero
fu quella dell’eccidio casuale.
Che la strage non fosse stata programmata, ma rappresentasse
l’evoluzione improvvisa di un’azione di rastrellamento,
era ipotesi di cui parlava esplicitamente già nel
1946 il vicecommissario di pubblica sicurezza Vito Majorca, che però del fatto che avrebbe provocato il brusco cambiamento
di atteggiamento dei tedeschi non era riuscito a trovare
prove certe. Egli aveva tratto probabilmente l’informazione
da Alfredo Graziani, testimone oculare degli eventi,
che nel suo scritto pubblicato in occasione del primo anniversario
della strage, scriveva testualmente:
Si disse che, nei pressi della «Vaccareccia», fosse stato sparato
un colpo di fucile contro i tedeschi di cui un ufficiale sarebbe
stato ferito. L’eccidio sarebbe stato, quindi, una conseguenza
imprevista per gli stessi tedeschi i quali – si dice – si sarebbero
altrimenti limitati alla distruzione delle abitazioni per «punire»
gli abitanti della connivenza che avevano o avevano avuto coi
partigiani. Una barella con un ufficiale ferito, da alcuni, fu infatti
veduta scendere a Valdicastello, e ciò fu confermato anche dall’interprete
di una Commissione Alleata che, nell’ottobre scorso,
si portò a Sant’Anna per una inchiesta preliminare, il quale disse
appunto che erano in mani alleate alcuni delle SS partecipanti
all’eccidio, fra cui l’ufficiale ferito che, a quel tempo, era degente
in un ospedale militare a Livorno.
La voce quindi si diffuse subito dopo l’eccidio, e rappresentava
una risposta plausibile alle domande sul perché
della strage, tanto più che le testimonianze su quel tedesco
ferito erano più d’una [...]
A questa tesi fu subito contrapposta quella di un ferimento
accidentale, da fuoco «amico». Così continuava
Graziani la sua esposizione:
Il fatto in se stesso non prova nulla, però. Eran così nutrite
le raffiche di mitragliatori e così fitti i colpi di moschetto che
i tedeschi, sfociati nella valle, sparavano all’impazzata a scopo
intimidatorio, per cui nulla di più verosimile che l’ufficiale ferito
lo sia stato dagli stessi compagni di spedizione.
[...]
Secondo
un appartenente alla 6a compagnia, Ludvig Göring,
interrogato nel marzo 2004, un commilitone sarebbe stato
ferito dallo sparo di un partigiano. Ma è difficile credere
a questa versione di un colpo singolo di fucile: i partigiani
non c’erano a Sant’Anna il 12 agosto, ed è ancora più problematico
dare credito a quanto si sussurrava a Sant’Anna,
di un colpo sparato, magari dallo «scemo» del paese, o
comunque da un qualche abitante della Vaccareccia che,
all’arrivo dei tedeschi, avrebbe tirato fuori il fucile da caccia:
nessuno dei sopravvissuti della Vaccareccia, o di altrove,
ha sentito questo sparo (che avrebbe dovuto essere
precedente alle raffiche dei tedeschi) e non si capisce bene
a quale scopo, essendo fin troppo ovvia l’evidente inutilità
di tale gesto.
Inoltre appare poco convincente che un eccidio di tali
proporzioni sia stato la risposta al ferimento di striscio di
un solo soldato: per Sant’Anna si mosse, come appurò l’inchiesta
della commissione crimini di guerra della V armata,
l’intero II battaglione del 35o reggimento della XVI SS Panzer-
Grenadier Division, composto di 4 compagnie (ed infatti
i due soldati feriti appartenevano all’8a compagnia), armato
con mitragliatrici pesanti, con parecchie munizioni (tanto
da utilizzare almeno 14 civili come portatori delle munizioni),
e con mortai (che però non sembra siano stati usati):
si trattava, a seconda delle stime, dai 150 ai 300 uomini, in
assetto da combattimento. Il tutto è assolutamente sproporzionato
per una semplice operazione di rastrellamento,
tanto più se si afferma che i tedeschi erano consapevoli che
nella zona non vi erano più partigiani.
Che l’azione fosse invece programmata come «rastrellamento
finalizzato al massacro» (così lo storico Lutz
Klinkhammer ha definito le successive operazioni di fine
settembre contro la brigata partigiana «Stella Rossa» a
Monte Sole), lo dimostrerebbe non solo tutto l’andamento delle operazioni in quella giornata, ma anche la testimonianza
di Gianfranco Quilici, resa nel corso del processo
Simon: il cuoco della villa di Nozzano San Pietro, dove era
stato fissato il comando di Simon, gli preannunciò l’operazione
di Stazzema («mi disse che stavano andando a Stazzema
ed altri villaggi per un’operazione di rastrellamento e
che potevano uccidere civili»).
[...]
La stessa considerazione fu svolta da Graziani (e fu
poi ripresa alla lettera dal vicecommissario Majorca), altro
scampato all’eccidio: «sia per il numero rilevante delle SS
che vi presero parte, che per il piano di attacco che svilupparono,
è chiaro [che] tutto era già stato previsto prima e
che le pattuglie andarono lassù col preciso scopo di fare
quello che fecero». Ed oggi che conosciamo le dichiarazioni
di alcuni soldati delle SS presenti a Sant’Anna, si conferma
questo carattere programmatico: così Ignaz Alois Lippert ha
ricordato che, durante il tragitto per raggiungere Sant’Anna
di Stazzema, videro due uomini anziani che camminavano
nella loro stessa direzione. Qualcuno nella sua squadra disse
che erano partigiani, lui invece ritenne fossero abitanti del
villaggio. Senza chieder loro nulla, un sottufficiale estrasse
la pistola e li uccise sparando un colpo alla nuca, lasciandoli
morti sul bordo della strada.
Ancora più chiara l’intervista rilasciata da Horst Eggert,
con lo pseudonimo di Alfred Otte, a Christiane Kohl nel
1999: Eggert, che aveva 18 anni, ricorda che erano acquartierati vicino a Pietrasanta. L’ordine riguardante quella che
venne presentata come operazione contro le bande venne
dato la sera prima: «si trattava di annientare i partigiani»,
e come tale veniva considerato di fatto chiunque si trovasse
nell’area delle montagne, gli uomini ma anche le donne,
che «potevano essere molto pericolose», e diversi ordini
della Wehrmacht includevano l’uccisione della popolazione
civile, per esempio se quest’ultima forniva ai partigiani generi
alimentari. Infine lo stesso Göring ha ammesso che
il presunto ferimento del suo commilitone da parte di un
partigiano sarebbe avvenuto solo dopo che la sua squadra
aveva già ucciso un gruppo di donne.
Rimane da affrontare un’ultima questione, il diverso
comportamento dei soldati nelle frazioni più lontane dal
centro del paese (Argentiera, Sennari), dove le persone furono
rastrellate e indirizzate verso il paese (all’Argentiera)
o a Valdicastello (a Sennari). Alcuni borghi poi non furono
interessati dall’azione tedesca (Bambini, Case di Berna e
Vallecava). Si è dedotto da tale circostanza un cambio di atteggiamento
dei tedeschi: fino ad un certo momento la loro
azione si sarebbe limitata all’incendio di case o capanne, e
al rastrellamento di persone inviate verso Valdicastello o
alla Vaccareccia, dopo lo sparo del fantomatico colpo di
fucile il rastrellamento si sarebbe trasformato in strage. Ma,
oltre alle considerazioni sopra svolte, è difficile individuare
un’ora precisa dopo la quale il massacro sarebbe cominciato
(le testimonianze in merito sono comprensibilmente
poco precise); inoltre altre considerazioni, di natura più
strettamente tattica, potrebbero spiegare un simile comportamento,
ad esempio l’esigenza di restringere il perimetro
del campo di operazioni prima di dedicarsi ad operazioni
di sterminio di massa, che comunque avrebbero occupato
tempo ed attenzione dei reparti impegnati. Si consideri che
Argentiera è sull’altro versante rispetto alla foce che immette
nell’anfiteatro di Sant’Anna, Case di Berna sono il
gruppo di abitazioni, sulle pendici del monte Gabberi, più
lontane dal centro del paese, e Vallecava è un colle relativamente
periferico (oggi vi è situato l’ossario). In ogni caso,
una differenza di comportamento delle truppe è rilevabile anche fra le varie località dove non furono commesse uccisioni:
all’Argentiera le persone furono avviate verso Vaccareccia,
ai Bambini non fu commesso alcun atto di violenza e
anche le abitazioni furono risparmiate (tanto da giustificare
il sospetto degli abitanti di Sant’Anna che ciò fosse dovuto
alla presenza in quelle case di parenti di fascisti), le Case
di Berna e Vallecava furono evitate, a Sennari l’intervento
di un ufficiale evitò la strage già decisa.
È difficile, oggi, dare conto di queste differenze di
comportamento, che non trovano una spiegazione, tuttavia,
neanche secondo la tesi di chi vorrebbe trovare in esse la
dimostrazione di un cambiamento di atteggiamento da parte
tedesca nel corso delle operazioni a Sant’Anna. Un’ipotesi
potrebbe essere quella avanzata da Carlo Gentile: «la parte
di gran lunga più consistente delle uccisioni si svolse nel
settore occidentale, quello più vicino alla zona d’accesso del
battaglione Galler. Questo potrebbe significare che nel settore
orientale furono impegnate altre unità, con un diverso
atteggiamento verso i civili». L’ipotesi è peraltro applicabile
alle borgate di Sennari e Case di Berna, non a quella ai
Bambini.
Le modalità dell’azione di rastrellamento-sterminio di
Sant’Anna di Stazzema sono d’altra parte le stesse che verranno
attuate qualche giorno dopo, il 19 agosto, a Valla,
e il 24 agosto a Vinca (entrambe in comune di Fivizzano,
sulle Apuane), e oltre un mese dopo a Monte Sole: la zona
da «rastrellare», che in molte testimonianze viene indicata
come «zona nera», rappresenta il perimetro entro il
quale chiunque venisse trovato, fosse bambino, anziano
o donna, era considerato un «nemico» da eliminare. Essa
veniva circondata da uno schieramento di forze più o meno
imponente, a seconda della sua ampiezza; quindi vi penetravano
truppe scelte, normalmente appartenenti ai reparti
più «agguerriti» in questo genere di azioni finalizzate allo
sterminio. Una volta arrivati in posizione i vari reparti, cosa
segnalata spesso da razzi, il massacro aveva inizio.
|