Tommaso Padoa-Schioppa
La veduta corta
Conversazione con Beda Romano sul Grande Crollo della finanza
Un brano dal testo |
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Prefazione, pagg. 7-8
Questo libro è un tentativo di capire e interpretare la crisi
che si sta dipanando sotto i nostri occhi; crisi ancora in pieno
svolgimento, ma già riconosciuta come la più sconvolgente da
molti decenni. Non l’abbiamo ancora capita e tanto meno superata.
L’aggettivo finanziaria, inizialmente usato per definirla,
si è rapidamente rivelato insufficiente; economica e sociale ne
è la sostanza. E poiché la componente del sistema economico
che è mancata è l’intelaiatura di regole, controlli, azioni di
governo che – in un’economia di mercato – costituiscono il
complemento della libera ricerca del tornaconto individuale
da parte di individui e imprese, la crisi è in realtà politica e
istituzionale; è un fallimento della politica economica prima
che della finanza e dei mercati. Infine, e in senso più generale,
il disastro ha forti radici nel terreno della cultura, intellettuale
e antropologica, perché scaturisce da atteggiamenti mentali,
idee, comportamenti divenuti prevalenti nelle nostre società.
I fatti di questo decennio – prima l’attentato alle torri gemelle,
ora una crisi economica e finanziaria di proporzioni planetarie
– vanno visti come l’annuncio di un’agenda. Stilano l’elenco
delle «cose da fare» nel nuovo millennio: governare la mondializzazione,
fondare la pace sulla terra, coniugare la forza
e il diritto, riacquistare il dominio dell’uomo sulla tecnica,
trovare equilibrio e reciproca autonomia tra politica, economia
e cultura nella vita associata.
È mia convinzione che la radice più profonda della crisi in
atto sia la «veduta corta di una spanna», l’accorciarsi del l’orizzonte temporale dei mercati, dei governi, della comunicazione,
delle imprese, delle stesse famiglie. Di qui il titolo
del libro. La riflessione si svolge attraverso sei conversazioni
con Beda Romano ed è essa stessa uno sforzo di allungare lo
sguardo: all’indietro, per capire la vera natura della crisi; in
avanti, per individuare la direzione verso cui muovere i nostri
passi. Conversazione e non intervista, perché la riflessione si
sviluppa nei due sensi. Conversazione non come espediente
editoriale, ma come forma stessa dell’interrogarsi sul presente
e sul futuro, come modo di espressione adatto all’incertezza in
cui siamo e allo spirito di ricerca necessario per interpretare
il momento attuale.
Il passato è uno, il futuro è molteplice. Il futuro non giace in
oziosa attesa sulle ginocchia di Giove, né sta scritto in alcun
luogo; siamo noi a scriverlo con le nostre azioni e le nostre
scelte, trasformando il molteplice in uno. La storia insegna
che anche il passato lo era. Ecco perché il presente è la linea
della nostra libertà. Per plasmare il futuro dobbiamo pensare
e volere un futuro possibile, uno tra quelli contenuti in germe
nel passato e nel presente e suscettibili di essere sviluppati e
fatti crescere. Ciò che dobbiamo sforzarci di leggere non è
un futuro non ancora scritto; è la realtà, i vincoli che essa ci
pone, le strade che ci preclude, quelle che ci apre. L’uso che
facciamo della nostra libertà influirà, infatti, sul corso della
storia solo se si collocherà entro i vincoli del reale.
Siamo abituati a leggere gli eventi storici del passato sapendo
«come è andata». Osservare il presente come un evento storico
è un esercizio del tutto diverso, significa invece guardare i
fatti per capire «come vorremmo che andasse». Guardarli per
cercare la sintesi tra ciò che vogliamo e ciò che possiamo.
20 febbraio 2009
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