Barbara Frale
I Templari e la sindone di Cristo
Un brano dal testo |
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Capitolo primo. Il misterioso idolo dei Templari
Il fascino di un mito
pagg. 15-18
Era quasi il Natale 1806 e l’imperatore Napoleone Bonaparte
si trovava in un accampamento presso il castello
polacco di Pultusk, sulle rive del fiume Narew, circa 70
chilometri a nord di Varsavia. Era all’apice del suo potere:
un anno prima la grande vittoria di Austerlitz e il successivo
trattato di Presburgo gli avevano permesso di estendere
il controllo su quasi tutta l’Europa, e appena nell’agosto
passato la Confederazione del Reno aveva decretato a Ratisbona
l’ingresso di vari stati tedeschi nell’orbita politica
francese ponendo così fine alla storia millenaria del Sacro
Romano Impero. Ancora il 14 ottobre aveva inflitto una
cocente sconfitta all’esercito prussiano vicino alla città di
Jena; ora si accingeva a combattere le truppe russe, scese
per arrestare la sua preoccupante avanzata in terra polacca
e destinate a subire anch’esse proprio presso Pultusk una
poderosa sconfitta il giorno di Santo Stefano. In un simile
frangente, con l’esercito allarmato dal gelo e dalla scarsità
di viveri, l’imperatore si ritagliava un angolo di tempo per
mettere mano a una certa questione che evidentemente gli
stava a cuore.
Ripensava alla tragedia intitolata Les Templiers che
aveva scritto il suo connazionale François Raynouard, un
avvocato di origini provenzali con la passione per la storia.
Il dramma ripercorreva l’oscura vicenda del processo
intentato dal re di Francia Filippo IV il Bello contro l’ordine
religioso e militare più potente del medioevo, quello
dei «poveri commilitoni del Cristo» più noti con il nome
di Templari. La tragedia narrava appunto l’ingiusta fine
subita da questi cavalieri religiosi che erano anche abili di plomatici ed esperti banchieri, secondo Raynouard vittime
innocenti dell’avidità del re di Francia che li aveva attaccati
a tradimento per mettere le mani sul loro patrimonio.
All’imperatore non era piaciuta. In primo luogo perché
Napoleone, incoronatosi imperatore alla presenza di papa
Pio VII nella cattedrale di Notre-Dame il 2 dicembre 1804,
si considerava un erede morale del grande carisma che avevano
posseduto i sovrani francesi del medioevo, unti con il
sacro Crisma che secondo la tradizione una colomba aveva
prodigiosamente portato dal Cielo durante il battesimo di
re Clodoveo: quel ritratto così crudele e cinico di Filippo
il Bello, che era pur sempre il nipote del grande re santo
Luigi IX, decisamente gli pareva fuori luogo. Ma, soprattutto,
Raynouard aveva impietosamente deluso le solide
convinzioni che tutta una cultura, della quale Napoleone
stesso era un illustre rappresentante, nutriva circa il famoso
ordine di frati guerrieri che dall’apogeo del potere, prestigio
e ricchezza era improvvisamente caduto in rovina
sotto l’accusa infame di eresia. Era una storia avventurosa,
piena di misteri e oscure suggestioni, e appariva eccezionalmente
attraente per il nuovo gusto romantico che aveva la
tendenza a colorare tutto con le tinte dell’irrazionale; ma
l’imperatore era uno spirito pragmatico e il suo interesse
per la vicenda si doveva a tutt’altro: la fine dei Templari era
stata a suo tempo il vessillo di un preciso piano politico. E,
paradossalmente, continuava a esserlo, sebbene fosse ormai
una questione vecchia di cinque secoli.
Quel modo fantasioso e nostalgico di guardare all’antico
ordine militare aveva fatto la sua comparsa in Europa agli
inizi del Settecento; nasceva dal matrimonio fra il sincero
desiderio di rinnovare la società e una lettura non proprio
obiettiva della storia. Già alla fine del Seicento in tutti i
paesi dell’Occidente esisteva una borghesia che si era arricchita
con il commercio e la nascente produzione industriale,
aveva accumulato veri patrimoni e fatto studiare i
propri figli nelle migliori scuole accanto ai rampolli della
più antica nobiltà; facoltosi e molto preparati, i membri di
questo gruppo sociale emergente si sentivano pronti a partecipare
al governo della nazione ma vi riuscivano di rado perché la società era ancora strutturata alla maniera antica,
cioè secondo un sistema rigido e chiuso che concentrava
le leve del potere nelle mani dell’aristocrazia. Agli eredi di
queste fortune accumulate con la pratica «plebea» del commercio,
se volevano elevarsi socialmente, non restava che
inserirsi all’interno della stessa nobiltà sposando la figlia
di qualche illustre casato caduto recentemente in disgrazia,
ovvero disposto ad accettare che il proprio sangue blu si
mischiasse con un altro di umili origini; a matrimonio celebrato,
il nuovo membro dell’élite assumeva lo stesso stile di
vita dei suoi nuovi amici e parenti, venendo dunque come
«riassorbito» nel sistema. Il rinnovamento del pensiero che
avrebbe prodotto l’Illuminismo indusse la nuova classe
emergente a cercare una via autonoma verso il potere, una
via che soprattutto permettesse di agire concretamente per
far crescere la società e renderla più giusta; si guardava con
ammirazione al passato specie di certe aree d’Europa come
le Fiandre, la Germania, la regione francese o l’Inghilterra,
dove si erano formate potenti corporazioni di mercanti e
artigiani che attraverso la solidarietà di gruppo avevano potuto
prosperare e difendersi dalla prepotenza della nobiltà
di sangue. Le corporazioni di muratori che avevano edificato
le grandi cattedrali gotiche come Chartres, in particolare,
erano sospettate di custodire conoscenze scientifiche
molto all’avanguardia per il loro tempo, e di averle tramandate
per secoli nel più geloso segreto. La legittima curiosità
storica si mescolò al bisogno di trovare radici illustri, e questo
fece in modo che si formassero agli inizi del Settecento
veri e propri club animati da ideali illuministici ma convinti
di perpetuare una tradizione di società segrete risalente
addirittura all’antichità biblica: e anche il loro nome derivò
da quello con cui si indicavano queste antiche corporazioni
di muratori, in francese maçonnerie. La società del tempo
conservava una decisa passione per il concetto di nobiltà,
specie quella antica delle origini, quando nelle nebbie del
medioevo gli antenati delle maggiori dinastie avevano compiuto
le gesta destinate a costrui re per gli eredi un futuro di
lustro e di privilegi. Gli antichi ordini cavallereschi emanavano
un fascino enorme: anche se l’immagine non era precisa, li si vedeva come una specie di canale privilegiato, una
corsia preferenziale, in grado di portare ai vertici del potere
anche persone piene di doti naturali che però avevano
avuto la sfortuna di nascere fuori dalla casta aristocratica.
E l’ordine dei Templari, il più famoso e discusso, sembrava
proprio giacere nel punto dove convergevano tutte queste
linee d’interesse.
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