Ilvo Diamanti
Mappe dell'Italia politica
Bianco, rosso, verde, azzurro... e tricolore
Un brano dal testo |
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Conclusioni, pag. 225 e seguenti
L’Italia politica della seconda Repubblica (ma per alcuni, fra cui
Mauro Calise [2006], saremmo già entrati nella «terza») non ha
tagliato i legami con il passato. Risulta, però, profondamente
cambiata rispetto ai primi anni Novanta, quando la crisi di sistema
era esplosa. L’articolazione territoriale degli orientamenti
elettorali, nella prima Repubblica, rifletteva fedelmente la simmetria
fra società e politica. Riproduceva, in particolare, le tradizionali
fratture prodotte dallo sviluppo territoriale, dalle tradizioni
religiose e ideologiche: fra Nord e Sud, fra centro e periferia,
fra religione e secolarizzazione, fra sinistra e destra, fra classe
operaia e borghesia. I partiti di massa esprimevano quelle fratture
e le alimentavano. Oggi le fratture sembrano ridimensionate.
Oppure hanno cambiato segno.
La zona bianca non c’è più. È scomparsa prima della Dc, che
aveva contribuito a fornirle identità e rappresentanza politica.
La sua specificità territoriale, però, è rimasta, visto che l’area
dove per oltre trent’anni si è votato in modo continuo e prevalente
per la Dc (il Nord-Est e le aree periferiche del Nord) non ha
smesso di esprimere un orientamento distinto e omogeneo. Solo
che ha cambiato colore: è diventata verde. Sottolineando, attraverso
la Lega, l’affermarsi di una nuova frattura: il localismo
opposto al centro del potere economico (identificato con Torino)
e del potere politico (identificato con Roma, lo Stato e il
sistema partitico nazionale). Successivamente, questa zona ha
allargato la propria domanda di rappresentanza anche a Forza
Italia. Si è aperta, così, una fase di relazioni contrastate fra Lega
e Forza Italia (e negli ultimi anni il Popolo della Libertà). Alleate
e al tempo stesso concorrenti nel medesimo bacino elettorale. I
successi della Lega, comunque, si rinnovano in momenti particolari, collegati all’insoddisfazione di queste aree nei confronti dello
Stato. La zona bianca, sostegno della maggioranza di governo,
nella fase originaria della prima Repubblica, si è trasformata,
così, in area critica e rivendicativa, anche quando governano i
suoi principali riferimenti politici: la Lega e il centrodestra. Com’è
avvenuto dopo le elezioni del 2001 e quelle del 2008.
La zona rossa, invece, appare la più coerente rispetto al
passato. Non ha cambiato geografia politica né rappresentanza.
D’altronde la sua struttura economica, fondata sulla piccola impresa,
ha continuato a funzionare bene mentre gli standard del
benessere sociale restano elevati. Inoltre, la fiducia nel sistema
pubblico e nel governo locale si mantiene alta. Da ciò la stabilità
politica ed elettorale della zona. In altri termini, i partiti di sinistra
non garantiscono più lo stesso grado di identità e integrazione
del passato, ma le amministrazioni e gli amministratori locali
ne hanno compensato, almeno in parte, il ruolo di rappresentanza,
a livello politico e territoriale.
Anche in questo caso, però, emergono cambiamenti significativi.
In particolare, nella zona rossa i tradizionali riferimenti
politici si stanno logorando. I partiti di sinistra hanno perduto
peso elettorale [Diamanti e Lazar 2002; Ramella 2005]. Parallelamente,
è cresciuta la conflittualità interna al centrosinistra, con
effetti talora critici [Baldini e Legnante 2000; Ramella 2008].
D’altro canto, nella zona rossa è cresciuta la capacità
competitiva dei soggetti politici di centrodestra, soprattutto nei
luoghi in cui la tradizione di sinistra appariva più debole, già nel
passato (nelle Marche, ma anche «dentro» le zone rosse tradizionali).
Infine, la crisi dei partiti di massa (e soprattutto del Pci) ha
reso più difficile il rapporto fra gruppi dirigenti, amministratori
e società locale. Il che ha alimentato l’insoddisfazione dei cittadini
verso la politica anche in quest’area [Ramella 2008; Trigilia
2006].
Il Mezzogiorno appare diviso e instabile. Le regioni insulari,
soprattutto la Sicilia e il Sud tirrenico, si sono sempre orientate
a centrodestra e in particolare verso Forza Italia. Le altre zone
del Centro-Sud (con l’eccezione della Basilicata, coerente con la
tradizione moderata di centrosinistra) sono divenute terreno più aperto e competitivo. D’altronde, quest’area negli anni Ottanta e
Novanta ha conosciuto una trasformazione socioeconomica profonda
quanto differenziata1. Tuttavia, negli ultimi anni le tensioni
si sono acuite nuovamente, insieme al degrado economico e
sociale di alcune regioni governate dal centrosinistra, come la
Campania e la Calabria. Ciò ha favorito un nuovo spostamento
verso destra. A conferma della maggiore fluidità politica del
Mezzogiorno. Rispetto alla geografia elettorale della prima Repubblica,
quindi, si osservano modificazioni sensibili e profonde,
che concorrono a rendere le «regioni politiche» dell’Italia
meno stabili e definite. Dal punto di vista dei confini, dei colori,
delle tendenze.
D’altronde, la geografia politica ed elettorale del paese è
stata profondamente innovata dall’Italia azzurra. Una «zona
geopolitica» molto diversa dal passato almeno per due ragioni.
La prima: non riflette le «fratture» politiche territoriali più
note. Non rispecchia, cioè, né il controcanto fra zone bianche e
rosse, né la tensione fra periferia e centro, né il dualismo fra
Nord e Sud.
La seconda: si presenta profondamente segmentata e sparsa
sul territorio nazionale; dicotomizzata, fra Nord e Sud, dal punto
di vista dell’economia, della società, della cultura, degli interessi.
Mentre le zone politiche del passato erano caratterizzate da un
notevole grado di coerenza e contiguità territoriale. Ciò che la
unifica e distingue è uno specifico rapporto della società con la
politica e le istituzioni: è l’area dell’integrazione politica individuale
e personalizzata; del consenso senza partecipazione e senza
associazione. La differenza tra la zona azzurra e le altre zone
geopolitiche riflette, quindi, due diversi tipi di integrazione: a)
attraverso la «partecipazione» e la mediazione svolta dalle organizzazioni
sociali e degli interessi, come avviene nella zona rossa,
ma anche in quella verde; b) attraverso la «comunicazione» e il
rapporto im-mediato (nel senso di «diretto», «non mediato»)
con il leader, nella zona azzurra. Dove il legame e il «cemento»
con il contesto locale sono offerti soprattutto dal ceto politico.
Un tessuto di piccoli leader politici, che garantiscono la comunicazione
con le reti associative, i gruppi di interesse, le persone. Una rete organizzativa, che fornisce continuità al consenso, senza,
però, consolidarlo. Il che causa, invece, conflitti e tensioni
ricorrenti.
Il «successo elettorale» di Forza Italia ha, peraltro, prodotto
un processo mimetico, spingendo i partiti di centrosinistra a
imitarne il modello. Dapprima, l’Ulivo promosso da Prodi, che
ha perseguito il progetto di coalizzare e in seguito unificare tutti
i partiti dal centro alla sinistra. Dai più moderati ai più radicali.
Negli ultimi anni, i partiti maggiori, i Ds e la Margherita, si sono
aggregati per costruire un soggetto politicamente più moderato
e omogeneo. È emerso, così, un partito per alcuni versi analogo
a FI. Personalizzato, attento alle logiche della comunicazione e
del marketing. Determinato a uscire dal recinto delle regioni
rosse e di abbattere definitivamente il pregiudizio che aveva
costretto i comunisti e i loro eredi, nonostante ogni presa di
distanza e ogni abiura, all’opposizione. Parallelamente, per reazione,
è sorto il Popolo della Libertà, attraverso l’aggregazione
tra FI e An. Voluto e imposto da Silvio Berlusconi per continuare
ad essere leader del partito più forte in Italia. E per impedire
agli eredi dei comunisti di liberarsi del passato. Relegandoli nella
periferia politica.
Le tradizionali zone politiche ed elettorali della prima Repubblica
sono, quindi, scomparse (quella bianca) oppure si sono
indebolite (quella rossa) rispetto al passato, dal punto di vista
elettorale: per motivi legati al cambiamento economico sociale e
alle trasformazioni dell’offerta politica. Per questo è probabile
che i colori politici dell’Italia si attenuino e magari cambino
ulteriormente; che la scena politica nazionale assuma maggior
peso di quella territoriale. D’altronde, il rapporto fra politica e
territorio è cambiato anche perché sono cambiati gli attori politici,
che hanno caratterizzato la democrazia italiana nell’era repubblicana
[Mastropaolo 1999; Ignazi 2008].
a) I partiti di massa, la Dc e il Pci, esprimevano un legame
stretto fra centro e periferia. Erano «nella» società, «nel» territorio
e «nello» Stato o, comunque, nelle istituzioni.
b) La Lega ha scardinato questo rapporto dall’interno, insinuandosi
nel territorio integrato dalla Dc, nella zona bianca, e rivoltandolo contro lo Stato centrale. Ha, dunque, fatto del territorio
non solo un luogo di azione politica, ma un simbolo. La
bandiera del «territorio contro la politica». Si è trasformata, per
questo, in un partito di integrazione sociale, al tempo stesso
garante della sicurezza e dell’identità locale e lobby del Nord
insediata al governo [Diamanti 2003].
c) Oggi, invece, i partiti vecchi e nuovi hanno ridimensionato
il rapporto con il territorio. In parte si sono «cartellizzati»,
integrandosi nelle istituzioni, nel governo, nei centri di potere e
della comunicazione. Hanno preferito ridurre il peso della mediazione
organizzativa e della partecipazione nella società e nel
territorio, valorizzando il ruolo dei media e la personalizzazione.
Caso esemplare di questa tendenza: Forza Italia, partito personale,
«attore politico senza territorio». Impresa politica di successo,
ha costretto gli altri partiti a inseguire il suo modello. In
questo modo sono sorti l’Ulivo e il Pd a centrosinistra e il Pdl a
centrodestra. Per aggregazione dei partiti precedenti, come abbiamo
già detto. Partiti nazionali e presidenzializzati. Organizzati
e mobilitati intorno al leader. Candidato alla guida del governo.
Al centro del crescente spazio occupato dai media e dalla
comunicazione. Partito presidenziale, il Pd. Partito del Presidente,
il Pdl. Sembrano annunciare una stagione dove il territorio
tramonta definitivamente nel cielo della politica italiana.
Anche se, in effetti, non è così. Se si osserva la geografia elettorale
uscita dalle elezioni del 2008, infatti, si scorgono i riflessi di
un passato lontano che non sembra mai passato del tutto.
La base elettorale della Lega e del Pdl, infatti, propone un
riassunto fedele del consenso ottenuto dai partiti di governo
durante la prima Repubblica. La Lega, in particolare, ricalca i
confini della Democrazia cristiana nei primi decenni della Repubblica.
Le province periferiche del Nord. La geografia del Pdl
è, invece, simmetrica. Naturalmente, Forza Italia e, anzitutto, il
leader hanno una biografia nordista e milanese. Tuttavia, l’aggregazione
con Alleanza nazionale nel Pdl e la ripresa della Lega
nel Nord ne hanno spostato il baricentro verso Centro-Sud. Un
impianto territoriale che evoca il tramonto dei partiti di governo
della prima Repubblica, dopo gli anni Ottanta.
Il Pd, invece, nonostante riunisca i principali eredi della
tradizione comunista e democristiana, non riesce a staccarsi dal
recinto della zona rossa, che continua a costituirne il baricentro.
Da ciò l’importanza del territorio in politica. Dove si proiettano
fratture inedite su una mappa peraltro segnata da confini
noti. In particolare, è come se il berlusconismo avesse rimpiazzato
l’anticomunismo [Shin e Agnew 2008]. Come se sulle macerie
del muro di Berlino fosse sorto il muro di Arcore.
Così la geografia elettorale si è come cristallizzata. Congelata.
Il che rinvia – a data da destinarsi – l’idea di decretare la fine
della storia, nel rapporto fra politica e territorio. Almeno in
Italia.
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